Loto d’oro, una pratica brutale dal dolce suono
Con Loto d’oro o Gigli d’oro non si indicano né il loto che ha fatto perdere la memoria ai compagni di Ulisse e né i fiori profumati ma i piedi di donne, ragazze e bambine cinesi artificialmente deformati. Il nome è dovuto all’andatura insicura e ondeggiante che assumevano queste donne sottoposte a questa pratica.
Tutto ebbe inizio verso il 900 d.C. da una concubina imperiale. Occorsero cinquanta anni affinché la pratica scomparisse del tutto. In cosa consisteva la tortura? Nel bendare i piedi alle bambine mantenendo la punta dei piedi tra i sette e i dodici centimetri, piegando le quattro dita più piccole (escludendo l’alluce) al di sotto della pianta del piede. In questo modo le articolazioni del tarso e le ossa metarsali venivano progressivamente deformate, in modo che i talloni diventassero l’unico punto di appoggio, causando l’andatura fluttuante della donna. Nelle famiglie più ricche le bambine venivano fasciate da piccole, tra i due e gli otto anni; questo le agevolava perché la pratica era meno dolorosa e meno traumatica psicologicamente. Nelle classi contadine, invece, veniva applicata prima del matrimonio, a circa quindici anni affinché le donne potessero lavorare fino a questa età.. Questa pratica era molto dolorosa, perché il piede cresceva, ma deformato. Le unghie andavano tagliate frequentemente per evitare infezioni, ma nonostante la pulizia, molto spesso le donne andavano incontro ad infezioni come la setticemia, e con la cancrena, si arrivava alla perdita delle dita. I piedi erano coperti da piccole scarpe lavorate a mano, fabbricate dalle donne per esaltare la forma del piede e per mostrare le doti artigianali.
La fasciatura dei piedi suscitava stupore negli Occidentali, ma era rischiosa perché oltre a non poter camminare, le vittime della pratica potevano anche avere problemi alle costole, agli organi addominali e compromettere la gravidanza. Nelle epoche passate i piccoli piedi femminili, oltre ad essere esteticamente attraenti erano una sorta di carta d’identità che attestava la virtù, la sopportazione del dolore, la docilità e le abilità muliebri della donna. Che orrore!
Antonella Cuzzupè
Classe IIIB
scuola media Garibaldi