venerdì, Novembre 22, 2024
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PRIMI PASSI NELLA LETTERATURA ITALIANA…

Dante, Petrarca e Boccaccio furono i più grandi autori della letteratura italiana del Medioevo.

Dante Alighieri nacque a Firenze ma, per motivi politici, fu costretto all’esilio e non vi fece più ritorno. Un importante avvenimento che segnò per sempre la sua vita e la sua poetica fu l’amore per Beatrice, vista alla maniera degli stilnovisti, cioè come una donna angelicata che con le sue virtù rende l’uomo migliore e lo conduce a Dio. La sua opera più importante, “La Divina Commedia”, è un bellissimo poema allegorico in cui è racchiusa tutta la cultura del tempo. È un viaggio immaginario nei tre regni dell’aldilà che Dante, smarritosi in una selva oscura, deve compiere per ritrovare la via giusta. Dal punto di vista allegorico questo poema racconta il viaggio che Dante, che si era allontanato dalla retta via a causa dei suoi peccati (rappresentati simbolicamente dal bosco oscuro e dalle fiere che in esso si trovano: la lonza, il leone e la lupa), -regno dell’Inferno-deve compiere per purificarsi –Purgatorio-e ritrovare la via della salvezza che conduce a Dio-Paradiso.

Questa stessa via egli indica agli uomini del suo tempo e a tutti gli uomini che vogliono abbandonare la via del male per seguire la via del bene, per questo la sua esperienza può essere di esempio per gli altri.

In questo viaggio immaginario Dante avrà due guide molto importanti: il poeta latino Virgilio, simbolo della ragione (grazie alla quale l’uomo si rende conto del male in cui si trova e inizia il cammino di purificazione) che lo accompagnerà nell’Inferno e nel Purgatorio e Beatrice, simbolo della grazia che conduce a Dio, che lo accompagnerà nel Paradiso.

Dante immagina l’Inferno come una voragine, un imbuto che si apre sotto la città di Gerusalemme e sprofonda fino al centro della terrà in cui si trova Lucifero. I peccatori, in base al peccato compiuto, sono collocati in nove gironi, in base alla gravità della colpa e scontano pene che, secondo la legge del contrappasso sono il contrario di quello che essi hanno compiuto in vita. Nell’emisfero australe che, secondo la cultura del tempo era costituito soltanto dal mare, in mezzo alle acque, si innalza il colle del Purgatorio, diviso in sette girono, con in cima il paradiso terrestre.

Il Paradiso è costituito da nove cieli che ruotano introno alla terra, sopra di essi, nel Cielo quieto o Empireo, si trova Dio, con i Santi.

La Divina Commedia è formata da tre cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso, ciascuna formata da trentatré canti, più un canto di introduzione. Sono tutte strofe terzine a rime incatenate!

Noi abbiamo studiato in modo approfondito soltanto il primo e il terzo canto e ci siamo appassionati tanto. A me hanno colpito molto la descrizione della selva oscura che faceva tanta paura, il tentativo di Dante di uscire risalendo il colle che, purtroppo falliva perché le fiere gli impedivano il passaggio. Mi hanno colpito gli ignavi, che sono persone che nella loro vita non hanno mai fatto nessun male ma neanche un po’ di bene, insomma hanno vissuto passivamente e ora non li vogliono né gli angeli e neanche i demoni e sono costretti a correre dietro una bandiera punzecchiati da fastidiosi insetti, mentre dei vermi raccolgono a terra il loro sangue mischiato alle lacrime.  Anche le parole scritte sulla porta di ingresso dell’Inferno sono molto significative e, per finire, mi è piaciuto molto Caronte-il vecchio traghettatore dalla barba bianca e dagli occhi fiammeggianti come brace- che, prima si arrabbia perché Dante non dovrebbe trovarsi lì e poi batte con il remo tutte le anime che si attardano.

Tanti sono i versi che mi hanno colpito: “nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura chè la diritta via era smarrita” perché in poche parole illustra il punto di partenza di tutta l’avventura dantesca, spiegando il perché del grande viaggio. “Per me si va nella città dolente, per me si va nell’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente, lasciate ogni speranza o voi che entrate” perché secondo me Dante non poteva trovare parole più significative per presentare l’eterno dolore delle genti condannate all’Inferno. E, infine, “vuolsi così colà dove si vuole ciò che si puote e più non dimandare” con cui Virgilio zittisce Caronte brontolone, indicando che se Dante è lì è per volontà di Dio.

Un altro grande poeta della letteratura italiana medievale è Francesco Petrarca che vive una vita alla continua ricerca di un equilibrio interiore tra l’umano con le sue passioni, quali la ricchezza, la gloria, l’amore e il divino. È da proprio questa tensione continua tra umano e divino che nacquero le sue poesie più belle come “Erano i capelli a l’aura sparsi” e “Solo e pensoso”.

Nel primo sonetto Petrarca canta l’amore per Laura, la donna che ama, sia nella sua giovinezza, nel fiore della sua bellezza, sia quando il tempo rende il suo sguardo meno luminoso. Laura, a differenza di Beatrice, è vista a volte come una donna angelicata e a volte come una creatura umana. Mi è piaciuto molto l’ultimo verso in cui il poeta afferma che la ferita non si sana quando si allenta l’arco, perché ormai la freccia è stata scagliata, così l’amore non diminuisce con il passare del tempo.

Nel secondo sonetto Petrarca dice che ama passeggiare in luoghi solitari, lontano dagli occhi della gente per pensare e riflettere.  Solo la natura: i fiumi, i boschi, i monti e le pianure conoscono il suo segreto tormento, quella lotta che c’è sempre in lui tra l’umano e il divino. Ma in tutti questi luoghi Petrarca capisce che non è mai veramente da solo, perché sempre l’Amore è con lui. Anche a me, a volte, piace stare in solitudine per pensare e riflettere su tante cose. Mi piace anche l’idea che Petrarca ci dà che non si è mai veramente da soli, perché l’Amore ci segue ovunque.

La terza grande figura del medioevo italiano è lo scrittore Giovanni Boccaccio, famoso per il Decamerone che contiene cento novelle, alcune allegre, ironiche e divertenti, altre tristi, altre tragiche. Egli immagina che dieci fanciulle e giovani fiorentini, per sfuggire al contagio della peste, cerchino rifugio in una villa di campagna e qui, per passare il tempo, ciascuno di loro ogni giorno racconti una novella diversa.

Noi a scuola abbiamo letto la divertentissima novella intitolata “Chichibio e la gru” che racconta di come un cuoco, per accontentare la sua innamorata, le dia una coscia della gru che stava cucinando per il suo signore. Quando il padrone, a cena, lo chiamò per chiedere spiegazioni, il cuoco affermò che le gru avevano una gamba sola. Il giorno dopo il suo signore lo condusse alla riva del fiume per dimostrargli che non era vero. Lì c’erano tante gru addormentate su una gamba sola perché l’altra era nascosta sotto il piumaggio. Il padrone fece un grido e le gru volarono via, mostrando l’altra zampa. Il furbo Chichibio però si salvò dicendo che la sera prima il padrone non aveva gridato e se l’avesse fatto anche la gru cucinata avrebbe mostrato l’altra zampa. Fu così simpatico e divertente che il suo signore scoppiò a ridere e lo perdonò.

Questi tre importanti personaggi della letteratura italiana medievale mi sono piaciuti moltissimo!

Di Dante ho apprezzato la grande fantasia poetica che ha avuto nell’immaginare il suo viaggio nei tre regni dell’aldilà e il significato di questo viaggio simbolico dal male verso il bene, di Petrarca mi ha colpito la musicalità dei suoi versi e il suo desiderio di riflettere in solitudine, ma più di tutti mi sono divertito con l’astuzia del furbo Chichibio raccontata nella novella di Boccaccio.

 

Filippo Antonio Garofalo, Sofia Mammola, Greta Coppolino

Classe V Militi

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