Dono ergo sum
Donare deriva dal latino “donum”: Dare a qualcuno una cosa in libero possesso senza richiedere ricompensa o restituzione.
Dunque “ Donare” è offrire, schiudere le porte della reciprocità, in uno scambio diremmo gratuito. Per donare serve coraggio, specie per donare ciò che non si può comprare col denaro, ciò che richiede tempo, energia e sentimento, ciò che davvero ci rende ricchi. Il dono è inteso quindi come una navicella di alleanza, amicizia, di tributo amorevole, è lì che la porta dell’altro si apre e ci fa intendere cosa l’altro sia, e cosa noi siamo insieme.
“Difficilmente si diventa una persona generosa da soli: la generosità è una cosa che si impare” ci insegna Mark Anspach in “che cosa significa donare?”, che racconta la storia di una donna, Barbara Bunnell, che diventa la prima paziente a ricevere un rene all’interno di una catena di “reciprocità generalizzata” ovvero una catena continua che aiuterà poi altre persone. “Ma”, continua Anspach ,“all’inizio della catena c’è un giovane, Matt Jones, che accetta di donare un rene “senza perché”, cioè non per salvare dalla dialisi una persona cara, ma per la gioia di aiutare sconosciuti” perché, ci fa riflettere lo scrittore, donare, in questo caso donare organi, è grande segno di civiltà e generosità.
Qualcuno ha affermato che “La vera felicità del dono è tutta nell’immaginazione della felicità del destinatario”, qualcosa che compensa in modo concreto l’assenza di garanzie da parte del donatore. Lo spiega l’etnologo francese Marcel Muss nella “Teoria del dono” quando comincia a domandarsi cosa spinge gli uomini a donare, e cosa spinge, chi riceve, a contraccambiare. Questioni all’apparenza banali, se poi pensiamo però che uno dona. L’altro riceve e ricambia, viene quasi da chiedersi dove stia la differenza con uno scambio commerciale. La differenza, ci fa presente Muss, sta nella libertà. O meglio nella libertà di ricambiare, del tempo e del modo in cui farlo. Ma la differenza sostanziale sta nel rischio che si prende quando si dona, non c’è certezza alcuna di venire contraccambiati. Il valore del dono ricambiato si basa quindi sulla libertà: più l’altro è libero, più il fatto che ci donerà qualcosa avrà valore per noi quando ce lo darà. Ecco che il dono diventa, in questo caso, promotore di relazioni.
Potremmo pertanto affermare che ciò che spinge a donare è la volontà degli uomini di creare rapporti sociali. In uno scambio mercantile, al termine degli accordi, i soci risultano reciprocamente indipendenti e senza obblighi. Nel dono invece, il ricevente non “paga” sul momento, ma contraccambia nel tempo ed è grazie a ciò che si mantiene attivo il legame fra due persone.
Donare è dunque un’arte difficile ma estremamente “umana” nel momento in cui l’essere umano ne è capace proprio in funzione del suo rapporto con l’altro, un elemento estraneo a noi ma a cui, in fin dei conti, vorremmo davvero “donare noi stessi”, lasciare una parte di noi.
Ecco la differenza sostanziale tra “donare” e dare”, perché nel “dare” c’è sempre la vendita, lo scambio, il prestito. Nel “donare” c’è un soggetto, ovvero il donatore, che in piena libertà, per generosità, fa un dono all’altro, indipendentemente dalla risposta. Pensiamo al dono in antichità, che per essere chiamato tale doveva essere ricambiato, i doni non reciproci risultavano pericolosi ed ingannevoli come ci insegna il cavallo di Troia. Capiamo quindi che il dono va ricercato nei piccoli gesti di ogni giorno che sono capaci di procurarci felicità: il sorriso di un passante, l’abbraccio di un amico, l’aiuto verso il prossimo.
“Il vero modo di essere felici è quello di donare la felicità agli altri … E ricrodate che essere buoni è qualcosa, ma fare il bene è molto di più!” (Baden Powell)
Sofia Petrella 4E BS