Le materie plastiche: usi e “consumi”
I polimeri sono macromolecole ad elevato peso molecolare, in cui singole unità dette monomeri si uniscono formando lunghe catene, a volte ramificate o reticolate, mediante una reazione detta, appunto, di polimerizzazione.
Sebbene si possano considerare polimeri anche macromolecole appartenenti alla sfera dei sistemi viventi (come le proteine, gli acidi nucleici, i carboidrati) di solito quando si parla di “polimeri” ci si riferisce a macromolecole di origine sintetica, in particolare, alle materie plastiche. Anche se quest’ultime si considerano il frutto delle più moderne tecnologie, in realtà, tutto è iniziato molto tempo prima. Anzi la loro storia si perde nella notte dei tempi, quando, sin dalla preistoria, l’uomo usava dei veri e propri polimeri, anche se di origine naturale, come l’ambra, il corno o il guscio di tartaruga.
Per vedere, comunque, un uso più “consapevole” di questi materiali e la loro produzione per via sintetica bisognerà aspettare il diciannovesimo secolo e, precisamente, il 1870, quando i fratelli americani Hyatt brevetteranno la formula della celluloide, non certo per scopi nobili, ma per un motivo molto pratico. All’epoca era molto diffuso il gioco del biliardo, ma le palle da biliardo erano fatte di un materiale molto prezioso e raro: l’avorio.
Con la celluloide si risolveva il problema, in modo molto più economico, anche se si trattava di un materiale altamente infiammabile. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e, soprattutto, le scoperte e le ricerche si sono susseguite a ritmo incalzante, facendo delle plastiche, i materiali più versatili e più utilizzati nei settori più svariati e anche più insospettati. Anche gli italiani hanno dato un contributo fondamentale alla ricerca e allo sviluppo di questi materiali e nel 1963 Giulio Natta, insieme al tedesco Karl Ziegler, riceve il premio Nobel per il suo Polipropilene isotattico.
La plastica, come ho accennato, ha qualità straordinarie: è facilmente lavorabile, è economica, è un ottimo isolante acustico, termico, elettrico e meccanico, è resistente alla corrosione, è idrorepellente, è inattaccabile da parte di muffe, funghi e batteri, è leggera e ce ne sono alcuni tipi che resistono anche alla temperatura di 300 °Centigradi. È un materiale “quasi” perfetto, se non fosse per il fatto che non è biodegradabile ed è, quindi, altamente inquinante. Ma lo stesso Giulio Natta si rivolterebbe nella tomba se sapesse quale sia il destino ultimo del suo Polipropilene.
I rifiuti di plastica vengono riversati in mare al ritmo di circa 10 milioni di tonnellate all’anno. La plastica, come ho detto, non si degrada facilmente, ma, nel giro di poche settimane, per via del sole, del sale e del moto ondoso, si riduce in frammenti di pochi millimetri, su cui si depositano alghe e batteri, che fanno di questa poltiglia, un cibo succulento per pesci e uccelli marini. Prima si pensava che essi ingerissero la plastica per errore. Adesso si sa con certezza che, invece, ne vanno proprio ghiotti. E così nel loro stomaco e anche in altri tessuti, si ritrovano frammenti di plastica. E sembra che proprio il polipropilene, di cui sono fatti i tappi di bottiglia e i contenitori di detersivi, costituisca la “pappa” che insaporita dalle alghe, è la plastica preferita dai pesci. E qui siamo alla “vendetta”, che, come si sa, è un “piatto” che va servito freddo.
La natura, questa grande madre Terra che non ne può più delle nostre sconcezze, alla fine ci presenta il conto. I pesci e anche i molluschi costituiscono un alimento per l’uomo. Quando vengono eviscerati il problema non si presenta, ma quando sono consumati interi, come le cozze, è indubbio che piccole quantità di plastica vengano ingerite dall’uomo. Non si sa ancora molto dell’effetto che questo “consumo” improprio della plastica abbia sull’uomo, ma una riflessione, senza dubbio, è necessaria.
Stiamo inquinando il nostro Pianeta. Ci comportiamo come se le risorse a nostra disposizione, siano inesauribili. Bruciamo migliaia di ettari di boschi, mettendo a rischio il nostro Ecosistema, pensando che tutto ciò non abbia delle conseguenze. La Natura si adatta fino a un certo punto. La Natura siamo “anche” Noi. E non illudiamoci di essere immuni dalle conseguenze dell’inquinamento che produciamo.
Ricordiamocene la prossima volta che facciamo qualcosa di poco lecito… Anche se può sembrare innocuo… Come abbandonare una bottiglia di plastica in riva al mare…
Graziella Signorino