In memoria di Giuseppe Letizia
L’Istituto Comprensivo “Mazzini”, aderendo all’iniziativa di Libera del 21 marzo scorso, ha scelto, tra le oltre 900 vittime delle mafie, di adottare Giuseppe Letizia di anni 13, la cui tragica fine è stata ricordata durante il raduno in Piazza Duomo. Questo il testo elaborato e letto dagli alunni di III A e IIIC .
Giuseppe Letizia nasce a Corleone il 4 novembre del 1935. I suoi erano contadini e coltivavano a mezzadria un fondo sito in contrada Malvello. A quei tempi chi coltivava la terra aveva bisogno del contributo dei figli e la sua famiglia non faceva eccezione. Già da piccolo Giuseppe comincia a lavorare nei campi, aiutando i genitori nella semina e nella raccolta. Non era una vita facile la sua: se è vero che lavorare stanca, lavorare la terra stanca doppiamente. Tempo per giocare ce n’era poco. Però Giuseppe era felice lo stesso: gli bastava l’affetto dei genitori, il calore della casa, la bellezza della natura, l’amore per gli animali. Quello era il suo mondo, non conosceva altro: un buon raccolto, una ricompensa per un lavoro ben fatto erano le piccole grandi soddisfazioni della sua vita semplice. Poi c’era la scuola. Negli ultimi tempi aveva smesso di andarci,per la verità. Non si può lavorare e studiare nello stesso tempo. Eppure, gli sarebbe piaciuto prendere la licenza media…
Aveva appena compiuto 13 anni e nessuno poteva immaginare quello che di li a poco gli sarebbe successo. Il pomeriggio del 10 marzo 1948, dopo il lavoro, il padre, sfinito dalla fatica , per non dover riportare i muli fino a casa- che distava dal podere qualche ora di cammino- chiese a Giuseppe di legarli nella stalla adiacente al casolare di contrada Malvello e di rimanere sul posto con loro per sorvegliarli durante la notte. Gli diede la buonanotte e gli disse: “Ci vediamo domani.” Giuseppe sapeva che avrebbe dormito poco: come gli diceva sempre la madre, “sono i contadini a dare la sveglia al gallo!”. Gli dispiaceva non tornare a casa, non dormire nel suo letto, non cenare tutti insieme. Ma tant’è, questa era la sua vita e se, per colpa sua, fosse accaduto qualcosa agli animali, non se lo sarebbe mai perdonato. Quella sera diede da mangiare ai muli, sbocconcellò un po’ di pane lasciatogli dalla madre, poi cercò un angolino dentro il casolare dove potersi rannicchiare, il più vicino possibile ai muli perché, quando dormono, il loro respiro lo tranquillizzava, forse perché non lo faceva sentire così solo. Poi, fu vinto dal sonno . A un tratto un rumore insolito squarciò il silenzio in cui era immersa la campagna, dove , durante la notte, senti solo il verso lontano di qualche animale di passaggio. Anche quello , tutto sommato, era per lui un rumore rassicurante. Non aveva paura delle bestie selvatiche lui, ci era abituato, non per niente Giuseppe era nato e cresciuto in campagna . Ma il rumore di quella notte lo atterrì. Non erano animali di passaggio, ma bestie assai più feroci che non risparmiano neppure i loro simili, a differenza degli animali.
Era il rumore di un’automobile che frenò bruscamente proprio a due passi dal casolare. “Che succede? ” – si domandò. Il suo istinto gli suggerì di restare rannicchiato nel suo cantuccio e, se possibile, di farsi ancora più piccolo. Attraverso il buio del casolare, quel buio che lo protesse, intravide l’ombra di due uomini. Sembrava che braccassero un terzo uomo , un omone grande e grosso, che tentava di divincolarsi dalla presa dei due e urlava disperato: “Chi vuliti da mia? “ Quell’urlo, Giuseppe, non l’avrebbe più dimenticato. Cominciarono a pestare quel povirazzo, pugni e calci dati senza pietà. A un tratto lo scoppio di tre spari, accompagnato da altrettanti bagliori che per un attimo illuminarono la stalla.
Giuseppe rimase impietrito per tutto il tempo, trattenne il respiro per evitare che avvertissero la sua presenza. I muli erano quanto mai agitati. Per tutto il tempo Giuseppe sperò che non lo tradissero. Scampato il pericolo, continuò a restare immobile nel suo cantuccio, nel timore che “le ombre” ritornassero. Infine, perse la cognizione del tempo. Doveva essere l’alba quando vide suo padre sopra di lui , che lo chiamava , lo scuoteva…” Giuseppe, Giuseppe, che fu?” Ma Giuseppe non riusciva a dire nulla. Negli occhi il terrore, l’angoscia impressa a fuoco nella sua tenera anima di bambino. Bruciava di febbre quando il padre, preoccupato, lo portò a dorso di mulo all’ospedale del paese. Giuseppe delirava e diceva cose senza senso ma, a quanto pare, riuscì a raccontare ai genitori quello che aveva visto.
Due giorni dopo, Giuseppe muore, inspiegabilmente, su quel letto d’ospedale . Gli stessi genitori, si persuasero che Giuseppe fosse morto di tossicosi, come riportava il referto medico, o forse, più semplicemente, pensarono che fosse morto per lo scanto. Nonostante il racconto di Giuseppe, nessuno pensò che si potesse trattare di un omicidio di mafia, mirato a chiudere la bocca a un testimone scomodo. Infatti, vi era ancora la convinzione che il codice d’onore della mafia vietasse di toccare le donne e i bambini.
Ma il 13 marzo, un giornale nazionale, l’Unità , insinuò il dubbio che Giuseppe fosse stato involontariamente testimone di un omicidio di mafia. Anche La Voce, un giornale siciliano, avanzò, in modo ancora più esplicito, lo stesso sospetto, stabilendo un collegamento tra la misteriosa morte del tredicenne e la scomparsa del noto rappresentante della Camera del Lavoro di Corleone, Placido Rizzotto.
Del caso si occupò l’allora capitano dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa che a sua volta, nel settembre del 1982, perderà la vita in un vile agguato mafioso insieme alla moglie e ad un agente della scorta.
Solo recentemente Letizia è stato inserito nell’elenco ufficiale delle vittime di mafia, in cui figura anche il nome del Rizzotto alla cui sorte, per uno sciagurato caso, si è intrecciato il destino del povero Giuseppe. Sull’onda dell’emozione suscitata dal ritrovamento dei resti di Rizzotto -il cui corpo senza vita era stato infoibato – nel giugno 2012 la scuola media statale di Corleone ha conferito a Giuseppe Letizia la licenza media ad honorem a titolo di “ risarcimento” per quanto è stato negato alla sua giovane vita spezzata. Un atto dovuto per Giuseppe che, tuttavia, se avesse potuto scegliere, avrebbe, senz’altro, preferito vivere.
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Gli alunni della classe III sez.A Istituto Comprensivo “Mazzini” Messina