70 anni di rossa leggenda
“Se dovessi dire che quando son partito pensavo di farmi qualche cosa in più di una sola macchina direi una bugia … Io da ragazzo, essendo nato in un’officina, ho pensato all’automobile, e l’ho sempre amata; ed ho sempre detto che un giorno arriverò anche io, a farmi una macchina mia!”
Così raccontava il fondatore della Ferrari nella sua ultima intervista.
Era il 14 Marzo del 1947 quando la quiete della campagna di Maranello fu attraversata dal rombante motore di un’auto senza cofano; al volante un uomo con i capelli già bianchi e una lacrima in volto. Il suo nome, ormai indelebile, era Enzo Ferrari.
Enzo era nato a Modena il 20 febbraio 1898. Si avvicinò da subito alla meccanica; passava giornate intere nell’officina del padre; tra quegli attrezzi e le auto semi smontate si alimentava continuamente la sua passione. In verità, Ferrari sognava di diventare anche un giornalista; in quel periodo scriveva, infatti, per la Gazzetta dello Sport e fu durante una trasferta a Milano, verso la fine del 1919, che trovò lavoro presso un’impresa meccanica milanese, grazie a Ugo Sivocci, un uomo incontrato casualmente in un bar. Enzo era prossimo alla disoccupazione, così Ugo prese a cuore la sua situazione e lo assunse come assistente al collaudo macchine. Iniziò così la sua carriera come pilota di auto da corsa.
La sua prima gara importante si svolse in Sicilia, ma una folla durante una manifestazione politica accerchiò la sua auto impedendogli di passare. Arrivò alla linea di partenza quando ormai era già stato dato il via. Dall’anno successivo iniziò a correre con il reparto corse dell’Alfa Romeo, collezionando parecchie vittorie; la più importante sarà quella in memoria del famoso aviatore Francesco Baracca, caduto nel primo conflitto mondiale. In quell’occasione la madre di Baracca donò a Ferrari il simbolo che il figlio portava sempre sulla carlinga dei propri aeroplani, dicendogli: “Tenga, metta sulle sue auto il cavallino rampante del mio figliolo, le porterà fortuna!” Onorato dal dono offertogli, dal 1932 questo simbolo apparve su tutte le auto della scuderia.
Ferrari, a causa di un esaurimento nervoso dovette fermarsi per molto tempo; quando guarì, fu chiamato nuovamente a Milano, dove gli fu chiesto di fondare una squadra da corsa legata all’Alfa Romeo. Entusiasta della richiesta, mise insieme un team con i più grandi piloti dell’epoca, tra cui Antonio Ascari, Tazio Nuvolari e Giuseppe Campari. Convinse inoltre Vittorio Jano, brillante ingegnere, a lasciare la FIAT – che non avrebbe mai prodotto le sue auto da corsa – per trasferirsi all’Alfa Romeo, che per tanto tempo aveva cercato di convincerlo al passaggio FIAT-Alfa senza mai riuscirci. Nacque così la scuderia Ferrari.
Questa nuova formazione collezionò numerose vittorie ma, nel 1933, la crisi economica portò l’Alfa Romeo a ritirarsi dal mondo delle corse, fino al 1937.
Ferrari, di conseguenza, dovette ritirarsi e fondò a Modena l’Avio Auto Costruzioni, ma per paura che i bombardamenti potessero radere al suolo il suo stabilimento, trasferì l’azienda nella più sicura Maranello. Finite le incursioni aeree, fondò quindi “la scuderia Ferrari”, sezione sportiva della sua casa automobilistica, esistente già nel 1930 ma costituita per ragioni sociali dal 1947. Con lo studio, la progettazione, la qualità dei materiali utilizzati e la passione impiegata, le auto di Ferrari diventarono giorno dopo giorno sempre più veloci e migliori, fino a quando nel 1951 al Gran Premio di Gran Bretagna, un bolide rosso guidato da Josè Froilàn Gonzàlez sbaragliò lo squadrone dell’Alfa Romeo. Fu la vittoria che segnò l’ascesa della Ferrari e il declino dell’Alfa in Formula 1. Lo stesso Enzo disse nell’occasione:
«Quando nel 1951 González su Ferrari, per la prima volta nella storia dei nostri confronti diretti, si lasciò alle spalle la “159” e l’intera squadra dell’Alfa, io piansi di gioia, ma mescolai alle lacrime di entusiasmo anche lacrime di dolore, perché quel giorno pensai: Io ho ucciso mia madre.»
Del resto, se la Ferrari esisteva, era proprio grazie all’Alfa Romeo.
Le corse e i successi continuarono, ma quasi come fosse un prezzo da pagare, il suo primogenito Alfredo, detto Dino, all’età di ventiquattro anni morì di distrofia muscolare. Il costruttore soffrì moltissimo la perdita del figlio, per questo si dedicò alla costruzione del centro Dino Ferrari per la ricerca e la cura della malattia. Enzo morì nel 1988 all’età di novanta anni; la notizia della morte fu divulgata solo a esequie avvenute. Ferrari era sempre stato un uomo riservato; lo dimostrano le rare interviste e la presenza dei soli amici e parenti al funerale.
Ciò che rende Ferrari un marchio di fama mondiale, non sono i colori o i modelli stravaganti, ma la capacita dell’azienda di produrre auto sportive con un’anima che non sbiadisce nel tempo. Anche a distanza di anni dall’uscita di un modello, esso rimane sempre inconfondibile nel suo genere, benché non sia facile trasmettere una passione o la propria idea di auto usando, non parole ma la forza del design e l’unicità dei motori. Lo stabilimento della Ferrari non è mai stato, né mai sarà, un freddo capannone industriale. Ferrari è una grande famiglia, una squadra di uomini che mette giorno dopo giorno il suo impegno e la sua passione nel far andare sempre avanti il sogno di un uomo diventato realtà e una realtà trasformata ormai in leggenda.
Raffa Gabriele 2B M M