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La cattura di Matteo Messina Denaro e la sua notizia sulla carta stampata!

Esaminando alcune testate giornalistiche del nostro territorio, e in particolare la seconda pagina del quotidiano La Gazzetta del Sud, del 26 gennaio scorso, non può non saltare agli occhi che esso contiene cinque articoli che riguardano la notizia del momento: la cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro.

Primula rossa della criminalità organizzata sicula, aveva fatto perdere le sue tracce subito dopo l’arresto di colui che viene definito ancora oggi “Il capo dei capi” Salvatore Riina. La sua cattura, dopo 30 anni di latitanza desta non poco clamore, sia a livello nazionale che internazionale. La notizia rimbalza sui quotidiani e sui TG di tutto il mondo.

Non perdono tempo i complottisti, avanzando ipotesi su come la cattura sia stata favorita dai “poteri forti” o addirittura da sé stesso, perché malato e con poco da vivere. Ebbene sì, “u siccu” o “Diabolik” è malato, e da quanto trapela dalle conferenze stampa degli inquirenti non gli resterebbe molto da vivere e, dunque, avrebbe preferito gettarsi tra le braccia del nemico (da cui si nascondeva da più di 30 anni) e non fuggire più. Ipotesi messa nero su bianco nel taglio basso della pagina, contestualizzata nella cornice geografica del carcere di massima sicurezza dove si trova in custodia il boss, vale a dire L’Aquila.

L’articolo principale parla del bunker dove Messina Denaro avrebbe custodito decine di scatole piene di carta che adesso sono al vaglio del Reparto Operativo Speciale della benemerita, che ha tratto in arresto il superlatitante, coadiuvato dal Gruppo D’intervento Speciale.

Nel resto degli articoli troviamo delle informazioni circa le cure che verranno somministrate al Padrino di “Cosa Nostra” direttamente al 41 Bis della casa circondariale de L’Aquila. Chemioterapia e interventi chirurgici, che se fossero stati destinati ad un altro carcerato, avrebbero avuto luogo in sedi ospedaliere, sotto sorveglianza dei militari dell’arma. La magistratura però si preoccupa che possa essere occasione di fuga per Messina Denaro ed hanno dunque allestito un vero e proprio nosocomio all’interno del carcere.

Parla anche la cugina del Boss, e non risparmia di certo parole dure, ma a parer mio, giuste. Afferma che dovrà pagare la sua pena, senza sconti. Viene da chiedermi se la magistratura (composta da uomini) potrà concepire una pena giusta per una persona che non ha risparmiato la morte neppure ad un bambino di 10 anni, imputandogli un’unica “colpa” ovvero quella di essere figlio di un pentito di quella stessa organizzazione mafiosa messa in piedi dai Corleonesi.

Imbattendomi nella parola “Giusta” mi viene da pensare a cosa sia la giustizia, nell’accezione più comune, e l’unica riflessione degna di essere presa in considerazione nasce in virtù del fatto che ho sempre amato gli animali, e da buon amante dei cani ne ho posseduti alcuni nel corso degli anni. O meglio, ho avuto la fortuna di amare ed essere amato dall’unico essere sulla faccia della terra, capace di amare incondizionatamente. Vivere con dei cani mi ha aperto gli occhi su come la giustizia sia un concetto del tutto umano e, come tutte le cose umane, a volte sbaglia.

Nascono inevitabilmente dei dibattiti e delle riflessioni sul fatto che ci siano voluti 30 lunghi anni per catturalo. C’è chi dice che sia stata una vittoria, altri che sia stato un fallimento.

Dal canto mio, la sua cattura anche così tardiva è stata una grandissima vittoria per tutti i cittadini onesti, in particolare per i siciliani che portano sulle loro spalle un grande onere, ma soprattutto onore: quello di far camminare sulle loro gambe il pensiero e l’anima di chi per combattere la mafia, ci ha rimesso la vita. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Matteo, Rocco Chinnici, Boris Giuliano, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Pippo Fava, Beppe Alfano, Don Pino Puglisi ed altri 500 uomini e donne che hanno creduto nel senso più vero della vita.

Ci sono stati uomini che hanno continuato, nonostante intorno fosse tutto bruciato, perché in fondo questa vita non ha significato se hai paura di una bomba o di un fucile puntato

Era febbraio 2007, sul palco dell’Ariston saliva Fabrizio Moro. Avevo appena tre anni, e non comprendevo molto, ma quella frase cantata con voce rotta mi è rimasta impressa e vive ancora con me.

Sarà difficile da comprendere per chi non si è mai guardato intorno, per chi non ha speso neanche un secondo a ragionare, però a parer mio aggiungiamo un altro piccolo tassello al puzzle della legalità. Un’altra piccola bandierina sul mappamondo della libertà.

“Contro chi sotterra la coscienza nel cemento”

Fabrizio Moro

Antonio Cartaregia IV ET

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