venerdì, Novembre 15, 2024
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Quando il lavoro ti porta lontano…

L’“Human capital flight”, o meglio dire dalle nostre parti “cervelli in fuga”, è un fenomeno che consiste nell’emigrazione all’estero di giovani laureati che possiedono delle ottime competenze professionali. Questo fenomeno aveva interessato circa 300.000 italiani ogni anno e un totale di 2 milioni di migranti del decennio precedente.

Ancora oggi, però, moltissimi giovani italiani si vedono purtroppo costretti a prepararsi le valigie e trasferirsi, lasciando a malincuore la propria patria, con la speranza di arricchire il proprio curriculum, fare nuove esperienze per poi, ahimè, non tornare più perché la propria terra madre non gli riserva grandi prospettive. Secondo lo studio della “Fondazione Migrante”, il fenomeno “cervelli in fuga” è triplicato passando da 39 mila nel 2008 a 117 mila nel 2018, e riguarderebbe soprattutto i ragazzi fra i 18 ed i 34 anni di età che rappresentano un terzo degli italiani all’estero. Gli emigrati dal Sud tra il 2002 e il 2017 sono stati oltre i 2 milioni, di cui 132.187 nel solo 2017; di questi 66.557 sono giovani (50,4%, di cui il 33% laureati). Il Sud, sempre più vuoto di giovani e laureati, sta minacciando quindi un preoccupante spopolamento demografico. Le mete preferite sono Inghilterra pre Brexit, Spagna, Brasile, Argentina, paesi Arabi e il Sud Africa.

E’ un ritorno al passato, alla grande migrazione europea tra l’800 e ‘900, quando quasi 50 milioni di persone si misero in viaggio per diverse settimane senza ritorno verso nuove patrie nella speranza di una vita nuova e migliore. Purtroppo l’emigrazione dei “cervelli italiani” verso l’estero impoverisce il territorio e blocca la nascita di nuove strutture, aziende e fabbriche. Insomma l’Italia non solo si ritrova senza talenti, ma deve fare i conti con fenomeni di lunga durata correlati a questa “fuga di cervelli”. Una delle cause più forti sono tuttavia gli scarsi investimenti per la ricerca in Italia che, secondo diversi studi, ha ultimamente investito per la Ricerca e lo sviluppo 23,8 miliardi di euro: il 70% sono dedicati alle zone del Centro Nord, investimenti che a dire sembrano molti ma, messi a confronto con altri paesi, diventano centesimi. Da non sottovalutare poi anche il campo dell’istruzione, che con il 3,8% nel 2017, ci porta ad essere negli ultimi posti nella classifica europea, seguiti solo da Bulgaria, Irlanda e Romania. Il settore più preoccupante è infine quello universitario, dove la spesa non è nemmeno la metà di quella europea mentre, per ogni euro speso in università, l’Italia ne spende 44 in pensione. Un’altra differenza tra i dati italiani e quelli europei è in ogni caso lo stipendio tra un laureato e un diplomato, elemento che incide spesso sul trasferimento in altri paesi anche con un livello di istruzione più basso.

Urge trovare delle soluzioni e recentemente il Comitato delle Regioni sta lavorando per impedire la “fuga dei cervelli” creando le condizioni per ampliare il divario interregionale con il potenziamento delle politiche di riduzione delle disparità regionali, cioè “attuando nuove forme di finanziamento” e avviando un meccanismo europeo di coordinamento che prevede “il diretto coinvolgimento delle istituzioni locali e regionali, la promozione di investimenti diretti all’eliminazione di fattori strutturali di disparità interregionali”. Si spera che funzioni.

Tutto questo mi dispiace molto perchè, purtroppo, chi sceglie di partire molto spesso lo fa con il cuore a pezzi, costretto a lasciare tutto per crearsi un futuro. Mi spiace pensare che la nostra Italia, un paese meraviglioso con un forte bagaglio di storia, non riesca a superare tutto ciò. Però vorrei anche essere ottimista per un domani diverso anche per noi, per la nostra generazione, che ha il diritto di scegliere dove vivere e lavorare, non essere costretta a tale scelta contro la propria volontà.

Angelica Maria Fugazzotto

Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G. (ME)

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