Gli “anni di piombo”, così lontani ma pericolosamente sempre vicini
Sono molti gli eventi che hanno segnato la storia d’Italia e che sono tuttora ricordati in modo tragico oppure rischiano di essere dimenticati. Uno di questi è il periodo tra gli anni 1969 e 1979. Il 12 dicembre 1969, in Piazza Fontana a Milano, era scoppiata una bomba, si erano contati 16 morti e 87 feriti. Un numero che, specialmente adesso che giornalmente facciamo il resoconto del numero, sempre in aumento di morti per la pandemia in corso, ci sembra irrisorio. Ma esso segna l’inizio di un periodo che viene appunto ricordato come i terribili “anni di piombo”, che occupano ancora un posto tragicamente rilevante nella memoria collettiva. Essi furono la conseguenza di numerosi avvenimenti precedenti, come il “boom economico”, detto anche “miracolo economico”, e le varie azioni di protesta, dalla “questione giovanile” degli anni Sessanta, coi movimenti studenteschi del Sessantotto a quelli dei giovani operai, con l’ “autunno caldo” dei lavoratori, fino ai movimenti femministi e la lotta per l’emancipazione familiare e sociale della donna che venne molto sentita e fu importantissima.. Negli anni che comprendono dal 1969 al 1979 vennero comunque avviate numerose riforme, vennero attuate le regioni, lo “Statuto dei lavoratori” e leggi come quella a favore del divorzio e dell’aborto volontario. Proprio per questo, il termine “ anni di piombo”, è stato spesso definito inappropriato, quasi a sminuire tutto ciò che successe in quegli anni, in quanto si riferisce solamente alla violenza e al terrorismo mettendo da parte quello che è stato l’aspetto positivo, ovvero le numerose conquiste sociali. Altri affermano che la locuzione è troppo riduttiva anche per parlare di tutti i crimini commessi in quegli anni, in quanto il terrorismo in Italia si prolungò anche oltre gli anni ‘80.
Ma cos’è, quindi, che accadde in quel periodo per essere ricordato sempre con sentimenti come l’angoscia e l’inquietudine? ll decennio è segnato da un uso massiccio della violenza come arma per incutere timore allo Stato. La democrazia è attaccata sia dall’estrema Destra che dall’estrema Sinistra. Nascono il “terrorismo nero” e quello “rosso”, con modalità organizzative e stili di azione molto diversi, ma entrambi caratterizzati dal ricorso ad attentati in luoghi pubblici, che hanno causato la morte di numerose persone. Il “terrorismo rosso”, o terrorismo di sinistra, era basato sulla protesta contro un governo dimostratosi corrotto, che permetteva al terrorismo di Destra di proliferare. Accusavano il PCI di aver rinunciato agli ideali rivoluzionari. Convinti di una possibile guerra civile, organizzarono attentati per ottenere una “rivoluzione comunista”. La strategia iniziò con atti incendiari, per poi cambiare verso sequestri e uccisioni di industriali e magistrati. Il terrorismo di Destra, di natura neofascista, invece, aveva lo scopo di creare un clima di tensione e di timore, fatto di bombe nelle banche, di stragi di civili sui treni e nei comizi sindacali attraverso la tecnica denominata “strategia della tensione”, proprio per creare caos e quindi favorire una svolta autoritaria che li avrebbe riportato al potere gruppi autoritari. Gli estremisti “neri” furono i più violenti e sono considerati colpevoli delle stragi più gravi.
Sotto il fuoco dei terroristi in generale, morirono in quegli anni bui politici, sindacalisti, giornalisti, magistrati, poliziotti, docenti, avvocati, ma anche persone innocenti. È giusto, quindi, ricordare gli avvenimenti più eclatanti compiuti dai sovversivi durante questi anni di timore. Primo fra tutti l’esplosione in Piazza Fontana, già nominata precedentemente. Quando esplosero le bombe, la situazione politica era molto precaria. Quello stesso 12 dicembre dell’anno 1969 altre tre bombe erano scoppiate a Roma, ma l’attenzione di tutti è per l’attentato a Milano.
Alle ore 16:37 una bomba confezionata con 7 kg di tritolo era esplosa nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, una quinta bomba fu trovata inesplosa a Milano in piazza della Scala. La vicenda giudiziaria che segue la strage di piazza Fontana è nota anche per i numerosi depistaggi e morti inspiegabili che la coinvolgono.
L’ex ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, ad esempio, tra i primi accusati dell’organizzazione della strage, era morto in Questura il 15 dicembre 1969, cadendo dalla finestra del quarto piano. I gruppi politici collegati all’estrema sinistra avevano riconosciuto nel commissario Luigi Calabresi, vice-responsabile della sezione politica alla questura di Milano, il principale responsabile della sua morte.
Ma la mattina del 17 maggio 1972 l’uomo era stato ucciso con due colpi in sequenza velocissima e uno, un po’ distanziato, alla nuca, sotto casa sua, davanti alla sua fiat 500. Per 16 anni l’omicidio rimase un caso irrisolto, fino a quando Leonardo Marino, ex militante di Lotta Continua, si autoaccusò ai Carabinieri, facendo i nomi dei complici.
Altri attentati molto noti vanno però ricordati. Martedì 28 maggio 1974: alle 10:12, un’altra bomba esplode in piazza della Loggia a Brescia, durante un comizio antifascista, provocando 8 morti e più di cento feriti. Dopo oltre 43 anni e tre processi finalmente furono trovati i colpevoli, Carlo Maria Maggi e Maurizio Tremonte, esponenti di Ordine Nuovo, tutti condannati all’ergastolo. Nell’agosto dello stesso anno avveniva la strage sull’Italicus, il treno espresso tra Roma e Monaco di Baviera. A 50 metri dalla fine della Grande galleria dell’Appennino, presso San Benedetto Val di Sambro, 12 persone persero la vita e 48 rimasero ferite a causa di un’esplosione. I nomi dei responsabili, per via di numerosi depistaggi, non sono mai stati scoperti, a distanza di 45 anni. Ciò che sappiamo è che Aldo Moro sarebbe dovuto essere stato su quel treno, ma era stato fatto scendere prima, per firmare delle carte. Ed è proprio il rapimento di quest’uomo politico l’evento forse più conosciuto e ricordato amaramente.
Per rimediare alla situazione grave in cui si trovava l’Italia, si era ricorsi a un compromesso: una collaborazione tra DC e PCI, per la solidarietà nazionale. Berlinguer, segretario del PCI, trovò l’appoggio di Aldo Moro, segretario della DC, ex presidente del Consiglio, ex Ministro degli Esteri, ex Ministro della Pubblica Istruzione ed ex Ministro di Grazia e Giustizia. Tuttavia, il 16 marzo 1978 Moro venne rapito in via Fani, nella periferia nord-occidentale della capitale. Questo scosse l’intera popolazione: con il rapimento di Moro si metteva a rischio colui che era definito il “cuore dello stato”. Il suo cadavere venne ritrovato all’interno di una Renault 4 rossa lasciata in via Caetani a Roma, 55 giorni dopo, il 9 maggio dello stesso anno.
Dal punto di vista storico e politico, il rapimento Moro segnò la fine del compromesso tra DC e PCI. La fine del periodo degli “anni di piombo” è stata però fatta coincidere con la strage di Bologna del 2 agosto 1980, nella quale trovarono la morte 85 persone, anche se molti credono che questa strage c’entri ben poco con il periodo della “strategia della tensione” e con gli “anni di piombo”. La controffensiva avviata già dopo l’assassinio di Moro si dimostrò infatti vincente: i principali brigatisti erano stati arrestati grazie all’impegno del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e di tutto il popolo italiano, che forte e unito nonostante la tensione non appoggiò mai il terrorismo. Per quanto riguarda le stragi organizzate dall’estrema destra, come già accennato furono quelle invece a rimanere irrisolte, anche a decenni di distanza, per via dei numerosi depistaggi e del possibile appoggio dei servizi segreti.
Sono molti i motivi, tuttavia, per cui è fondamentale ricordare questo terribile periodo nemmeno poi così lontano della nostra storia. Non solo analizzando gli attentati del periodo è infatti possibile confrontarli con quelli più recenti e attuali anche a livello mondiale, ma la conoscenza e l’approfondimento di questi anni bui per l’Italia possono portarci anche a indagare su questioni mai concluse, misteri irrisolti, criminali che non hanno mai pagato per i loro crimini e che forse, ingiustamente, non lo faranno mai.
Bisogna proprio per questo commemorare le vittime, come ha sentito necessità di fare anche il Parlamento facendo istituire – con la legge 56 del 4 maggio 2009 – la “Giornata in memoria di tutte le vittime del terrorismo” per il 9 maggio, data del ritrovamento del corpo di Aldo Moro. Ciò lo si deve specialmente alle famiglie, che hanno dovuto piangere la perdita dei loro cari il più delle volte senza mai poter conoscere il nome dei colpevoli di tali atrocità.
Perché ricordare è un dovere morale e civile, sempre. E grazie ai mezzi d’informazione, le lezioni scolastiche, gli articoli presenti sui social media, è possibile ma anche necessario tenere vivido questo ricordo e farlo conoscere anche ai più giovani, alle generazioni future, perché possano riflettere per comprendere il passato, interpretare il presente e migliorare il futuro.
Rita Chiara Scarpaci Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G