Il 25 aprile non dimentichiamo le “donne della Resistenza”
Oggi 25 aprile, data prescelta per ricordare la “Liberazione” dal nazifascismo e la fine della seconda guerra mondiale. A questo momento di riscatto, negli ultimi anni purtroppo sminuito e denigrato, contribuì innegabilmente quell’azione armata o di opposizione anche passiva che prese il nome di “Resistenza”.
Nata come moto di sollevazione nazionale, la Resistenza in tutta Europa è considerata un momento di grande rilevanza in quanto rappresenta il simbolo dell’affrancamento, e in questo caso di liberazione dall’occupazione nazifascista. In Italia, poi, più che in altri Paesi essa ebbe un ruolo fondamentale per la sorte della nostra nazione poiché, attraverso gli immani sacrifici, i dolori sopportati e i risultati ottenuti, riuscì ad assumere un significato morale di altissimo valore. Emblema dell’emancipazione, dei diritti, della giustizia, la Resistenza rappresenterà sempre l’ideale di pace e di unione dalla quale scaturirà la scelta democratica e la nostra Costituzione.
Non fu una lotta facile perché l’Italia, dopo quel famoso 8 settembre del 1943, quando venne reso noto l’Armistizio di Cassibile firmato dal governo affidato a Pietro Badoglio mentre Mussolini veniva arrestato, si trovò di fronte a numerose e nodose questioni. Seguì l’occupazione dell’Italia centro-settentrionale da parte dei tedeschi e la nascita della Repubblica Sociale Italiana, o Repubblica di Salò, governo fantoccio fondato da Mussolini da loro liberato. Il nostro Paese si trovò quindi in crisi, in piena guerra civile, separato tra nord e sud dalla scelta obbligatoria su quale dei due schieramenti seguire: Mussolini e il suo esercito, affiancando i tedeschi, o il Regno d’Italia, in guerra contro la Germania. Così, mentre i tedeschi ci ritenevano traditori e fucilavano in massa i nostri soldati in episodi come quello di Cefalonia, durante il quale morirono oltre 10 000 uomini, alcuni ritenevano invece che il vero problema fosse il governo traditore e si arruolavano nell’esercito di Mussolini. Altri, invece, scelsero di combattere contro il grande mostro del fascismo, dediti a eliminare l’invasore della loro amata terra, prendendo il nome di partigiani e dando vita alla vera e propria Resistenza armata. Questa prese sempre più piede, dividendosi ben presto tra “resistenza attiva” e “resistenza passiva”. Della prima facevano parte coloro che, di qualsiasi età, lavoro, situazione economica, avevano il coraggio di prendere in mano le armi e di schierarsi apertamente senza alcun problema. Della seconda, invece, chi non si era mai espresso riguardo il suo schieramento, ma che appoggiava i partigiani offrendo loro un rifugio per nascondersi o fornendo viveri. La Resistenza si sviluppò a partire dall’inverno del ’43 maggiormente al Nord, ma anche nel sud si registrarono diversi successi. Nel 1945, poi, quando gli alleati sfondarono le “Linea gotica”, già molti gruppi partigiani avevano deciso di liberarsi dei tedeschi senza aspettare le truppe anglo-americane, rivendicando così alla volontà nazionale un’opposizione al fascismo che affrancava in parte il popolo italiano da scelte colpevoli.
Ogni 25 aprile, data scelta per ricordare questo evento, da allora “festeggiamo” il giorno della “Liberazione”, ricordando le gesta dei nostri combattenti, osannando pur tra luci e ombre il loro coraggio e il loro attivo entusiasmo. Ma ogni anno, allo stesso modo, viene lasciata nell’ombra un’altra storia che riguarda la Resistenza, una storia che viene spesso dimenticata, oscurata: la storia di persone eroiche che hanno deciso di rischiare tutto, di mettere in gioco sé stessi e la propria salda realtà, per lottare per il proprio Paese. Sono quegli esseri così tanto fragili quanto caparbie e intrepide, sono le “donne della Resistenza”. È giusto ricordare, allora, che nella Resistenza collaborarono, dando un importantissimo contributo, anche le figure femminili.
Che esiste anche una “Resistenza delle donne”. Questa “resistenza taciuta” è stata ricordata solo da poco tempo, il grande aiuto che anche le donne hanno dato è stato riconosciuto solo recentemente. Eppure le partigiane non erano poche, il numero stimato si aggira intorno ai 70 000, ma sembrerebbe ce ne siano state molte di più, magari non schieratesi apertamente. Lasciarono le proprie case, il proprio lavoro, e si ribellarono. Non sembrerebbe, perché nei libri di storia se ne parla poco, ma, durante la Resistenza, ebbero un ruolo importantissimo. A loro era impossibile prendere in mano le armi, spesso erano costrette a rubarle, ed erano rari i casi in cui fosse permesso loro usarle. Collaborarono soprattutto dietro le quinte, e forse e per questo che il loro lavoro non è stato riconosciuto come merita. Si occupavano della stampa dei materiali di propaganda, della distribuzione dei volantini, dei documenti falsi.
Facevano le staffette trasportando cibo, armi, munizioni, esplosivi, indumenti, medicinali ma facevano anche da messaggere per le informazioni segrete. Organizzavano il lavoro dei combattenti e preparavano rifugi e nascondigli. Lavoravano anche tra le mura domestiche, nascondendo tra gli oggetti casalinghi armi e munizioni. Un’altra iniziativa importante fu la creazione del “Soccorso rosso”, una sorta di organizzazione con l’obiettivo di reperire viveri o denaro per le famiglie dei militanti in difficoltà. Il loro aiuto fu fondamentale perché, essendo donne, in una società con stereotipi maschilisti, erano meno sospette quando giravano per le strade in bicicletta, e spesso non veniva controllato se stessero trasportando oggetti per i partigiani.
Ma quando venivano scoperte, gli stereotipi si facevano ancora sentire. Le donne valevano meno degli uomini, quello non era il loro posto, e quindi venivano uccise all’istante, soprattutto perché non essendo permesso loro di avere armi non avevano mezzi per difendersi. Sappiamo che per loro non fu per nulla facile. Che spesso vennero solo strumentalizzate e che gli Alleati, di cui si fidavano, non furono per niente amichevoli. Oltre ad essere mal viste vennero torturate, picchiate, subirono violenza, vennero stuprate. Di quelle che decisero di combattere a fianco agli uomini ne rimasero davvero poche, ed ecco perché non giunsero mai abbastanza testimonianze da evidenziarne il loro valore. Va inoltre, sottolineato che, per essere riconosciuti tra i partigiani, si doveva aver partecipato alla lotta armata per almeno tre mesi all’interno di un gruppo organizzato riconosciuto. Solo pochissime, perciò, ebbero un riconoscimento ufficiale. Solo 19 furono, infatti, le donne che ricevettero medaglie d’oro al valore per le loro azioni durante il periodo della Resistenza. Molte altre, preferirono invece non ricevere alcun merito.
Molte preferirono non essere inserite tra le partigiane, e non entrare nel Pantheon della lotta al nazifascismo, in quanto ritenevano di aver fatto solo il loro dovere, ciò che nella loro etica era giusto per sé stesse e per il proprio Paese. Questa scelta non può essere altro che appoggiata, in quanto dimostra il loro valore e il fatto che non abbiano partecipato alla Resistenza solo per la “gloria”, ma perché sentivano fortemente il senso del dovere, del rispetto e dell’appartenenza. Ancora adesso viviamo in una società che a volte discrimina le donne e il loro ruolo nella società, e ne è la prova la distruzione della statua della partigiana Giulia Lombardi, uccisa a 22 anni dai fascisti.
Il monumento, realizzato in legno, è stato incendiato solo a pochi giorni dall’inaugurazione. Un atto orribile da parte di un singolo o un gruppo che, evidentemente, con questo gesto vorrebbe rinnegare la figura femminile come donna attiva riconoscendole solo il ruolo di donna – angelo del focolare. Ed è invece proprio per cambiare tutto questo, questa vacua mentalità, che le donne presero in mano le armi, facendosi valere e dimostrando a tutti gli uomini che le sottovalutavano di che pasta erano fatte. Dopo la loro partecipazione durante la Resistenza, si convinsero che erano capaci tanto quanto gli uomini e si impegnarono maggiormente per la rivendicazione dei loro diritti e per l’uguaglianza. Spesso gli uomini, che probabilmente trovavano scomoda la loro presenza, cercarono di sminuirle, opprimerle, ma le donne riuscirono comunque ad ottenere spazi nella vita pubblica e sociale, a raggiungere un nuovo ruolo, più importante nella vita economica e lavorativa. Prova ne fu anche la considerevole presenza nella neonata Assemblea Costituente, in cui le nostre “madri costituenti” seppero distinguersi.
È giusto quindi che, in questo 25 aprile, che spesso viene anche poco considerato o denigrato, vengano ricordate le gesta eroiche dei nostri partigiani durante la Resistenza Italiana, ma che venga commemorata, allo stessa maniera, anche questa “Resistenza al femminile”.
Rita Chiara Scarpaci
Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.