COSA VEDEVA ARIOSTO QUANDO CHIUDEVA GLI OCCHI…
Nella suggestiva cornice di Palazzo dei Diamanti, a Ferrara, è stata allestita la mostra “Orlando Furioso 500 anni. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi”, visitabile fino all’8 gennaio 2017. Organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e curata da Guido Beltramini e Adolfo Tura, vuole celebrare l’opera di Ludovico Ariosto a cinquecento anni dalla sua composizione, avvenuta a Ferrara nel 1516. L’intento dei curatori è stato quello di “restituire l’universo di immagini che popolavano la mente di Ariosto mentre componeva il Furioso”, proponendo un percorso iconografico sui temi portanti del poema, ma anche un approfondimento sul contesto storico e geografico in cui esso è nato.
La mostra si articola in dodici sale tematiche in cui ci si immerge in una realtà fuori dalla realtà, poiché manca totalmente il contatto con l’esterno. Varcata la soglia d’ingresso si viene risucchiati in una dimensione onirica grazie al sapiente allestimento dalle pareti scure e all’illuminazione che rende protagoniste le opere in mostra, alcune delle quali esposte in teche di vetro svettanti al centro delle varie sale e che richiamano ad arte gli alberi della foresta di cristallo del poema ariostesco.
Tutto prende l’avvio da Boiardo e dal suo Orlando Innamorato che propone il tema del labirinto e del bivio, ripresi e reinventati da Ariosto. Il labirinto è quello dell’intreccio in cui si ritrovano i protagonisti del Furioso le cui vicende sono abilmente iniziate, interrotte e riprese, ma è un labirinto anche di sentimenti e di decisioni che li pone davanti al bivio, cioè alla scelta tra bene e male, nella continua ricerca di qualcosa o di qualcuno. Sul tema portante del labirinto si inseriscono gli altri nuclei tematici della mostra, a cominciare dalla battaglia, a cui è dedicata la sala due con l’esposizione dell’olifante in avorio intarsiato (circa XI sec.; Tolosa, Musée Paul-Dupuy) che, secondo la leggenda, sarebbe quello suonato da Orlando nello scontro di Roncisvalle, e dell’imponente arazzo che occupa un’intera parete e che ritrae il combattimento tra il paladino e un gruppo di saraceni (La battaglia di Roncisvalle, c. 1475-1500; Londra, Victoria and Albert Museum).
Protagonista di gesta eroiche e audaci imprese è, quindi, il cavaliere, la cui lucida armatura, datata al 1510-15 (Parigi, Musée de l’Armée), è visibile nella sala tre (figg. 1-2).
L’immaginario iconografico e semantico legato alla sua figura e a cui, probabilmente, Ariosto si è ispirato nella creazione dei suoi paladini, viene invece ricostruito nella sala sei dove sono proposte opere raffiguranti San Giorgio (Cosmè Tura, San Giorgio, c. 1460-65; Venezia, Galleria di Palazzo Cini), Scipione l’Africano (Bottega di Adrea della Robbia, Scipione l’Africano, inizi XVI sec.; Vienna Kunsthistorisches Museum), e, soprattutto, il Ritratto di cavaliere con scudiero, noto come Gattamelata, di Giorgione (c. 1501; Firenze, Galleria degli Uffizi), che è stato scelto per la locandina della mostra. Il coraggio e la fede incrollabile di San Giorgio, l’audacia e la temerarietà di Scipione, la grazia e la bellezza determinata del Gattamelata confluiscono, in varia maniera, nei paladini di Ariosto e ne determinano il carattere, diventando espressione della temperie culturale della corte estense.
Il meraviglioso e la magia sono stati, nei secoli, elementi che hanno alimentato la fortuna del poema ariostesco e trovano una sintesi nelle sale sette, otto e dieci. Emblematico è il dipinto di Dosso Dossi (Melissa, c. 1518; Roma, Galleria Borghese) in cui è ritratta la maga Melissa all’interno del cerchio magico con il libro e il fuoco nell’atto di annullare i sortilegi della malvagia Alcina che aveva trasformato i cavalieri in fiori, alberi e animali.
Oggetto del desiderio e della ricerca incessante da parte del cavaliere è la donna, Angelica, Alcina o qualunque altra figura femminile tratteggiata dalla penna di Ariosto, ammantata di fascino misterioso e segno di struggimento amoroso fino alla follia. Perfetta incarnazione di quanto leggiamo nelle pagine del Furioso sembra essere l’olio su tela opera di Sandro Botticelli che ritrae Venere pudica (c. 1485-90; Torino, Musei Reali) (fig. 3).
Su fondo scuro spicca il corpo candido della dea, coperto da un sottilissimo velo trasparente che ne lascia intravedere la nudità, i lunghi capelli biondi fluiscono in parte intrecciati, in parte liberi, il volto angelico dalle labbra rosate e dagli occhi chiari, traducono in immagine l’idea della bellezza femminile tipica del Rinascimento.
Infine nelle sale quattro, cinque, undici e dodici viene lasciato spazio all’ambiente della corte estense, alla rinascita del teatro e ad un mondo che, dopo l’esperienza del poema di Ariosto comincerà a cambiare, sollecitato da un mutamento del gusto letterario, ma anche dal cambiamento di prospettiva nato dopo il 1492 e la scoperta del Nuovo Mondo.
Maria Daniela Trifirò
Docente – ITT E. Majorana