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Il Majorana incontra il direttore de L’Espresso Marco Damilano

Un atomo di verità: Il caso Moro

Giorno 13 novembre 2018 presso l’Aula Magna dell’Istituto Tecnico Tecnologico Ettore Majorana si è tenuto il terzo ed ultimo incontro conclusivo sul caso Moro, alla presenza di un relatore d’eccezione, il direttore del settimanale L’Espresso Marco Damilano.

L’incontro, rivolto ad alcune classi terze dell’istituto, è stato realizzato in sinergia con la Lute, la Libera Università per la Terza Età e preceduto nelle settimane scorse da due incontri preparatori tenuti rispettivamente dai proff. Cannistrà e Russo.

A inaugurare la mattinata è stato il Dirigente Scolastico, prof. Stello Vadalà, che ha espresso la piena soddisfazione e condivisione per eventi simili in quanto fondamentali per creare e custodire al contempo una memoria storica, che costituisca un patrimonio per tutti i giovani consapevolmente impegnati nella costruzione di un futuro libero.

Presente anche la dottoressa Ilaria Moroni, direttrice degli Archivi Flamigni, che ha dato avvio alla mattinata in un modo diverso. I ragazzi, infatti, sono stati invitati a rivolgere da subito le loro domande, le loro curiosità così da poter approfondire il caso Moro in modo più interattivo e partecipativo. Ecco quindi che la dottoressa ha iniziato a parlare del proprio lavoro e degli archivi, spiegando che sono dei luoghi in cui vengono conservate le documentazioni storiche tra cui quella di Aldo Moro, consegnata direttamente dalla famiglia Moro e da cui proprio il nostro ospite, il giornalista Damilano, ha tratto le fonti per scrivere il libro “Un atomi di verità” così da poter raccontare la vita di Aldo Moro e dei 5 agenti di scorta, ricordando ciò che il grande statista fece in tutta la sua vita e non soltanto il momento della sua morte.

I fatti tragici del 1978 spiegano il nostro presente e il nostro futuro.  “Via Fani è stato il luogo del nostro destino. La Dallas italiana, le nostre Twin Towers. Il 1978, tra il bianco e nero e il colore, è lo spartiacque tra diverse generazioni, il tutto della politica, gli ideali e il sangue, e il suo nulla.” Il sequestro di Aldo Moro ha segnato la fine della Repubblica dei partiti.

Marco Damilano torna su quell’istante, le nove del mattino del 16 marzo 1978, in cui il presidente della Dc fu rapito e gli uomini della sua scorta massacrati. Fu l’inizio di un dramma nazionale e di una lunga rimozione.

Alcune fra le lettere personali di Moro sono rimaste finora inedite, le foto, i ritagli, gli scambi epistolari con politici, intellettuali, giornalisti, persone comuni. Il libro è il tentativo appassionato ma obiettivo di ricostruzione della sua strategia e della sua umanità, strappata all’immagine di prigioniero delle Brigate rosse e restituita al ruolo politico di chi aveva capito meglio di tutti l’Italia, “il paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili”.

Dopo l’assassinio di Moro, il 9 maggio, al termine di 55 giorni di prigionia, sono arrivate la morte di Berlinguer, la dissoluzione della Dc e la latitanza di Craxi, fino all’ultima stagione, con la politica che da orizzonte di senso per milioni di italiani si è fatta narcisismo e nichilismo, cedendo alla paura e alla rabbia. Per questo la voce di Moro parla ancora, come aveva previsto lui stesso: “Io ci sarò come un punto irriducibile di contestazione e alternativa”.

La morte di Moro coincide non solo con la crisi del terrorismo rosso e con l’inizio della fine di Democrazia cristiana e del Partito comunista, ma anche con il declino della mediazione.

Datemi un milione di voti e toglietemi un atomo di verità ed io sarò perdente.” E Un atomo di verità è il titolo del libro scritto da Marco Damilano, il quale decise di parlare proprio di Aldo Moro per una ragione ben precisa, per una coincidenza, un incrocio che ebbe la sua vita con la storia di quest’uomo, con questa strage; infatti, pochi minuti prima della strage, Damilano, allora bambino, si trovava a passare con lo scuolabus all’incrocio di Via Fani. Da questo ricordo ha inizio la voglia di raccontare e far conoscere la storia di Aldo Moro.

Nel suo discorso il direttore rivolge l’attenzione anche alla figura di Ettore Majorana, cui è intitolato il nostro istituto. Figura che ha a che fare con Moro grazie a Leonardo Sciascia, il grande scrittore siciliano che ha dedicato due fra i suoi libri più belli, uno ad Aldo Moro, “l’Affair Moro” ed uno a Majorana, “La scomparsa di Majorana.” È questa, dice Damilano, una generazione di italiani di inizio Novecento che ha fatto grandi cose, si può dire infatti che Majorana era un genio della fisica, mentre Moro era un genio della politica, intesa come insieme di istituzioni che sono al servizio di tutti.

All’ età di trent’anni Moro, come membro dell’Assemblea Costituente, iniziò a scrivere la nostra Costituzione italiana insieme ad altri politici. La Costituzione rivoluzionò tutto, perché metteva l’uomo al centro di tutto. Fu proprio lui ad utilizzare la formula “la Costituzione è la nostra casa comune”, infatti lo Stato è inteso come casa comune e come tale deve rispettare tutti, a prescindere dalle diversità.

Aldo Moro era un buon cristiano, infatti si dice iniziasse la sua giornata proprio andando a pregare in chiesa, era un professore universitario e, nonostante i molti impegni politici, riusciva sempre a trovare spazio per i suoi alunni. Era destinato quasi sicuramente ad essere eletto presidente della repubblica.

Moro riteneva che il dialogo, il tempo, la pazienza e l’intelligenza fossero più forti dei rapporti di forza. La sua politica infatti insegnava e continua ad insegnarci che l’intelligenza può cambiare le cose, anche se la forza sembra prevalere in un primo momento, successivamente, in un periodo più lungo, è l’intelligenza che vede lontano e che può dominare. Era un uomo e un politico che costruiva ponti, e proprio nella nostra stagione  in cui i politici costruiscono muri, come per la questione immigrazione,  la sua lezione di dialogo e di apertura è sempre più attuale e, forse, necessaria. Quando si costruiscono muri può essere molto più semplice, ma non si avranno di certo gli stessi risultati.

Moro era un politico che ricuciva laddove molti strappavano. Nelle lettere che Moro scrisse durante i 55 giorni di prigionia,  si percepisce l’amore verso la famiglia, per la politica e per il suo Paese, esse sono la trattativa che fa non solo per la sua liberazione, ma per la salvezza dello Stato, a chi fuori sta osservando senza intervenire. Moro parla anche di cose che se fossero state rese pubbliche lo stato non avrebbe retto quindi in quel momento si cercò di sacrificare Moro, l’unico uomo sacrificabile.

Giovanni Moro, suo figlio, in un suo libro intitolato “Anni 70” dice: “il non agire è un azione” rivolto a tutti gli amici, politici della Dc che osservavano senza agire, come detto prima. Il rapimento di Moro è l’unico sul quale non si tratta, lo Stato ha sempre scelto di trattare, perché una vita umana vale più di tutto, si è sempre trattato anche con la criminalità organizzata…su Moro ha trattato anche il Vaticano tramite un accordo con uno degli uomini che ha agito in via Fani, ma poi tutto si fermò nel nulla.

Quando Aldo Moro si dimise dal partito, lo stesso partito che lui stesso aveva contribuito a fondare, scrisse “non voglio funerali di stato, non voglio uomini della Dc, voglio solo persone che mi hanno amato e mi hanno accompagnato.” Nonostante il funerale di Moro sia stato celebrato nel paesino di Torretta Tiberina, in assenza di cadavere il Papa celebrò in Eurovisione i funerali senza il cadavere e tutto passò alla storia come  “i funerali di stato”, mentre da tutt’ altra parte si celebravano i veri funerali.

Il 9 maggio del 1978 ci fu la prima ripresa in diretta, per la prima volta in televisione si ha la prima delle tante immagini dei morti, del sangue, del cadavere di Moro nel bagagliaio nella Renault 4… un ricordo che rimane indelebile.

Possiamo chiederci se valga la pena di morire per lo Stato… Chiederci se ci siano cose per le quali valga la pena di morire…. Sacrificare la propria vita per la salvare quella di altri è visto come una prova di elevata virtù e una forma di eroica santità. Ma per lo Stato? Lo Stato è una pura astrazione. E, si potrebbe dire, non occorre essere Moro per rifiutarsi di morire per un´astrazione. Occorre distinguere le astrazioni che siamo portati a fare per descriverlo, e la sua natura, la sua realtà, fatta di norme. Norme coordinate e gerarchizzate. Se dunque lo Stato è l´infrastruttura giuridica che non solo, secondo il pensiero liberale, rende possibile la pace e l´ordine, ma anche, secondo il pensiero cattolico, il perseguimento di grandi fini collettivi di solidarietà sociale, squadernati davanti ai nostri occhi nella Prima Parte della nostra Costituzione, risultato dell´elaborazione di quella Assemblea Costituente di cui Moro, allora giovanissimo ma già importante giurista, fu membro, allora si può e forse addirittura si deve, in circostanze estreme sacrificargli la vita.

Marica Genovese III C BS

Un pensiero su “Il Majorana incontra il direttore de L’Espresso Marco Damilano

  • Salvatore Italiano

    Mi chiamo Salvatore Italiano. Sono stato alunno di Aldo Moro e con lui ho discusso la tesi di laurea, avendo così l’occasione di frequentarlo da vicino. Ho organizzato insieme al Presidente della Lute, Claudio Graziano, la partecipazione a Milazzo, all’evento di cui all’articolo, di Ilaria Moroni e Marco Damilano. Voglio esprimere tutto il mio apprezzamento per l’estensore del “pezzo”, oltre che la gratitudine per aver colto alcuni dei temi guida del libro di Damilano. Coltivare la memoria storica, che non è necessariamente solo grandi eventi, è la condizione senza la quale non si può comprendere il presente. Ancora complimenti.

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