IL MIO INCONTRO CON GIACOMO LEOPARDI
Giacomo Leopardi fu uno dei più bravi poeti del romanticismo; nacque a Recanati, nelle Marche, da una famiglia ricca e nobile, fu secondo di otto figli, il più studioso. Prendendo esempio dal padre, era sempre a casa a studiare, anche a lume di candela, infatti gli si indebolirono gli occhi e gli venne la gobba.
Nel 1822 convinse la madre a trasferirsi a Roma da uno zio materno ma, per motivi di salute, dovette tornare a Recanati. Dopo essersi ripreso partì per altre città italiane. In una di queste incontrò conobbe il napoletano Antonio Ranieri e la sorella che divennero suoi cari amici. Proprio nella loro villa alle pendici del Vesuvio trascorse gli ultimi anni della sua breve vita.
Il suo pensiero si è evoluto nel tempo.
Inizialmente egli fu positivista e materialista. Non credeva in Dio, non credeva in una vita dopo la morte.
Egli pensava che la vita fosse solo dolore e sofferenza e che il motivo fosse dovuto alla ragione perché ci mette in testa tante domande, ci fa riflettere su tante cose e ci rende infelici.
Per lui erano beati solo l’età dell’infanzia e giovinezza, quando siamo bambini e spensierati, ricchi di sogni e di speranze (che poi la vita distrugge) e i primi periodi della storia, in particolare quello degli uomini primitivi che vivevano senza porsi troppe domande. In questo periodo per lui la ragione è causa di infelicità e la natura è benigna perché protegge l’uomo
Però dopo aver passato anni a riflettere, arrivò alla conclusione che la causa dell’infelicità non era la ragione. Infatti si chiese: chi mette nel cuore dell’uomo il grande desiderio di felicità se non la natura stessa che ci propone la felicità ma, nello stesso tempo, ce la nega. Allora per lui la natura non era più benigna ma matrigna e crudele
Nella sua vita, Leopardi, a causa di questa infelicità divenne solitario e malinconico eppure scrisse poesie così belle che parlano al cuore di ogni uomo. Tra queste troviamo gli idilli: poesie dedicate alla natura che prendendo lo spunto dalla descrizione di aspetti della vita quotidiana servono poi al poeta per esprimere i suoi pensieri più profondi e per far riflettere ogni uomo.
Il primo idillio che abbiamo studiato, per me davvero bello, è stato “La quiete dopo la tempesta” dove Leopardi racconta come la vita riprende la sua normalità passata la paura di una tempesta…allo stesso modo torna la pace dopo un momento difficile della vita, anzi la felicità e la serenità si godono di più dopo aver superato delle difficolta: “piacer figlio d’affanno…”
Il secondo idillio si intitola “Il sabato del villaggio” che è una metafora per indicare che l’uomo gode molto di più la vigilia di qualunque momento di festa che il giorno della festa stesso, così nella vita è importante vivere al meglio la fanciullezza e la giovinezza e non avere fretta di crescere; questa poesia è divisa in tre parti:
-una parte descrittiva, in cui si descrive in diversi quadri come tanti personaggi del villaggio si preparano al giorno di festa,
-una parte riflessiva, in cui il poeta riflette sul fatto che non gode della sua giovinezza
-e un invito per i giovani, a godere la gioventù senza avere fretta di crescere.
Tra le sue opere più famose troviamo “A Silvia”, una poesia dedicata a una fanciulla, di nome Teresa, che aveva tante speranze e sogni per la sua vita futura ma purtroppo morì di tubercolosi e la morte portò con sé tutti i suoi sogni che svanirono nel nulla, allo stesso modo la vita distrusse tutti i sogni e le speranze di Leopardi.
“Il passero solitario” è la poesia che per me, racconta meglio di tante altre la vita di Leopardi; infatti nell’idillio Leopardi paragona il suo modo di vivere a quello di un passero solitario. Entrambi non vivono in pieno la loro giovinezza ma osservano gli altri godere della loro vita. Però, nello stesso tempo, Leopardi dice anche che non sono totalmente uguali perché il passero è solitario per sua natura quindi quando sarà vecchio non rimpiangerà di non essere stato in compagnia, di aver vissuto in isolamento…
Leopardi, invece, quando si volgerà indietro si pentirà di come è vissuto.
La mia poesia preferita è “L’infinito” che racconta l’immaginazione di Leopardi quando, seduto su un prato, si accorge di una siepe che gli blocca la vista e quindi immagina ciò che non può vedere: l’infinito nello spazio e l’infinito nel tempo. Nella quiete di quel momento gode del silenzio, rotto solo dal vento che muove le foglie…L’ostacolo della siepe non lo ha bloccato, anzi lo ha aiutato a “vedere oltre” con gli occhi della mente e del cuore. Così è nella vita, dipende da ciascuno di noi se gli ostacoli ci bloccano o ci sono da stimolo per superarli.
Secondo me Leopardi è un poeta che come pochi riesce a trasmettere tanti sentimenti in una poesia, anzi addirittura in una sola frase; tante sue parole ci fanno riflettere sulla vita e ciascuno di noi può trovare qualcosa in comune con lui.
Ma quello che conta più di tutto, per me, è capire che Leopardi non è davvero pessimista I pessimisti si arrendono alla vita, sono dei perdenti, non sanno lottare, pensano solo a piangere su sé stessi. Leopardi, invece, nonostante le sue sofferenze e le sue malinconiche riflessioni, non si arrenderà mai alla vita e riuscirà a trasformare il suo dolore in canto melodioso. Lui è come la ginestra che cresce in un terreno difficile arido e vulcanico eppure non smette mai di emanare il suo profumo.
Chiara Munafò
Classe V C Militi