Si aprono i cancelli di Auschwitz
REPORTAGE DEL CORRISPONDENTE di GUERRA GABRIELE MORABITO
Auschwitz, 27\01\1945
Sono ormai passate due ore dall’apertura dei cancelli di Auschwitz.
Oggi sono state scoperte “cose” che nessun uomo dovrebbe vedere mai.
Prima di arrivare al villaggio di Auschwitz abbiamo camminato per giorni su strade completamente ricoperte dalla neve: la temperatura era costantemente sotto zero, i soldati russi affondano i loro stivali nella neve e nel fango, ma resistono, sono forti e vogliono liberare i popoli dal dominio nazista, anche loro, come me, non immaginano quello che avremmo visto di lì a poco.
Entrati in quella che sembrava essere una caserma, la prima cosa che ci colpì fu un forte odore di bruciato.
Poi, man mano, abbiamo visto uscire, da alcuni edifici in pietra, degli scheletri… sì, erano proprio scheletri che vagabondavano, si dirigevano verso il nostro convoglio, barcollando e con lo sguardo perso nel vuoto. Non parlavano!
Avevo paura di avvicinarmi, ad un tratto ho pensato di varcare la soglia di uno degli edifici in pietra, ma mi fermai: la puzza era talmente forte e acre che ho rimesso in un angolo della strada, poi mi sono fatto coraggio, ho tappato il naso e la bocca con il bavero del mio cappotto e sono entrato.
Credo che difficilmente riuscirò a far comprendere al mondo intero, con la mia sola penna, ciò che hanno visto i miei occhi.
Giacigli improvvisati pieni di escrementi; moribondi stesi in terra; secchi colmi di liquido che credo fosse urina; sono scappato fuori da quell’inferno e volutamente ho dato un’occhiata intorno, ho visto del filo spinato attorno al campo e una torre da dove, probabilmente, i soldati nazisti controllavano i prigionieri. C’erano altri edifici simili a quello che avevo visitato prima, nei pressi di uno di essi vidi un uomo, mi avvicinai a quello che restava di lui: mi ha mostrato, senza parlare, il suo braccio dove era stato tatuato un numero, non comprendo significato di quel numero ma intuisco che tutti i prigionieri indossavano una divisa simile alla sua, quasi fosse un pigiama a righe … con quel freddo avevano addosso solo un indumento!
In lontananza noto una grande fossa scavata nel terreno, mi avvicino, dentro ci sono migliaia di scarpe di colori e misure diverse, un profondo senso di sgomento mi assale, esausto mi appoggio ad un muro ma mi discosto subito con raccapriccio accorgendomi che era schizzato di sangue. Un prigioniero mi si avvicina piangendo, indicando che lì, in quel punto, avvenivano le esecuzioni di massa.
Intanto i soldati russi cercano di soccorrere i sopravvissuti, danno loro da bere qualcosa di caldo e forniscono indumenti da indossare.
C’era uno strano silenzio, straziante … continuo ad osservare, camminando per tutto il campo, ciò che mi circonda, lontano dagli edifici ecco delle costruzioni di fattura diversa, al loro interno vedo delle grandi stanze buie con tante docce che scendevano dal soffitto, adiacente a queste camerate vedo un grande stanzone, non riesco a capire com’è arredato, sembrano esserci dei grandi forni a parete, con un ripiano in ferro che si allungava dall’apertura; tutto intorno tanti calcinacci, muri screpolati, polvere, distruzione; mi è sembrato che qualcuno avesse voluto cancellare qualcosa per poi scappare via.
Sembra impossibile che sia potuto accadere tutto ciò che vedo, non si può neanche immaginare che la mente umana possa arrivare a tanto… perché un essere che arriva ad architettare tutto questo scempio non può essere definito “uomo”.
GABRIELE MORABITO
ISTITUTO COMPRENSIVO «BOER – VERONA TRENTO» – MESSINA
a cura della Prof. Rosaria Caterina Di Meo