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La “Giornata del Ricordo”

Ormai da venti anni ogni 10 febbraio si celebra il “Giorno del Ricordo”, una giornata di commemorazione civile istituita con legge n.92 del 30 marzo 2004 per ricordare tutti gli istriani, fiumani e dalmati di cittadinanza italiana che, negli anni finali della Seconda Guerra Mondiale, incalzati dai partigiani jugoslavi guidati del maresciallo Tito, furono costretti ad un esodo forzato dalle loro terre o sparirono gettati nelle foibe, insenature nel terreno profonde persino 600 metri tipiche della regione carsica.

Dal 2004 forte è l’impegno per di ricordare questa tragedia, vissuta da parte del popolo italiano, quello delle regioni dell’Istria e della Dalmazia, ma non è facile ancora capire perché questi fatti e le sue vittime siano stati dimenticati per sessant’anni. Le stime parlano di 250.000-350.000 persone di ogni età ed estrazione sociale, costrette ad abbandonare le proprie case per cercare fortuna altrove, ma a queste si aggiunge un numero incerto tra i 5000 e gli 11000 fiumani, dalmati, istriani, antifascisti e fascisti che, tra il 1943 e il 1947, accusati dai partigiani comunisti di essere fascisti solamente perché italiani, furono gettati, anche vivi, nelle foibe, oppure morirono nei campi di concentramento “titini”. Gli “infoibati”, uomini e donne, venivano schierati uno accanto all’altro davanti al crepaccio e legati tra di loro con del filo di ferro; poi qualcuno dei militi jugoslavi sparava ai primi e, come effetto domino, questi portava giù anche gli altri, che morivano per la caduta o per le ferite o per fame. Nessuno ne usciva vivo. O quasi. Uno soltanto è sopravvissuto: Graziano Udovisi, italiano di Pola che, appena diciottenne, si era arruolato nel secondo reggimento della Milizia difesa territoriale (MDT). Pochi giorni dopo il 25 aprile 1945, data della fine della guerra, decide di consegnarsi ai partigiani slavi, ma questi lo trasferiscono insieme ad altre trenta persone prima a Dignano, poi a Pozzo Lottorio e infine a Fianona, dove i prigionieri vengono legati con il fil di ferro e portati davanti alla foiba. Udovisi racconta nel suo libro-testimonianza del 2006 e poi nelle interviste successive che, spaventato, fece un gesto che gli ha salvato la vita: si getta nell’insenatura mentre gli slavi sparavano e uno di questi colpi finisce per spezzare il filo che lo legava. Finisce in acqua e, riuscito a liberare una mano, appena i comunisti se ne vanno, risale in superficie insieme a un compagno. Dopo essere tornato a casa, però, dovette affrontare l’esodo e le accuse discriminatorie che accolsero in Italia tutti i profughi, marchiati come fascisti indesiderati ed emarginati in campi profughi, dove emerse solo il desiderio di dimenticare e passare inosservati. Nessuno voleva ricordare, né le vittime né il mondo politico del dopoguerra, preoccupato di non entrare in contrasto con il confinante governo comunista jugoslavo, né gli italiani tutti che per molto tempo ignorarono la portata di quella tragedia, che fu quasi una pulizia etnica.

Oggi, invece, il “Giorno del Ricordo” è sempre più commemorato, sia dalle istituzioni che nelle scuole. Da qualche tempo, anzi, si parla con insistenza di un “Museo del Ricordo” che sarà istituito a Roma e avrà lo scopo di “ricordare per non dimenticare” la storia di questi italiani perseguitati, raccogliendo materiale documentario e fotografico affinché il loro dramma non finisca più sotto il velo dell’oblio e possa servire da ammonimento per il futuro.

La storia, infatti, ci dovrebbe insegnare dove l’uomo ha sbagliato, per non ripetere gli stessi errori. I fatti di cronaca odierna, però, ci dimostrano quotidianamente che non abbiamo imparato nulla o quasi, e ciò non deve davvero più accadere.

Gilda Parmaliana

Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G. (ME)

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