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La Grotta di Polifemo: magico scenario di un mito millenario

L’odore della notte pervadeva l’intero promontorio e si percepiva l’aria frizzante che stuzzicava il naso, mentre anch’essa occupava tutta l’area sottostante alla grotta.

Le rocce che componevano il promontorio erano statiche, ma la notte con la luce della luna danzavano dinamiche, con le ombre del vento. Anche gli alberi avevano una propria vita la notte, si intrecciavano e diventavano dimora degli uccelli che trovavano riparo e riposo dopo una lunga giornata di volo.

Le piante invece, colmavano gli spazi e riempivano l’insieme di un verde caparbio e soffice.

Ai piedi del promontorio tanti ulivi che in una certa stagione dell’anno attraverso delle lavorazioniproducevano oro colato, e insieme alle viti, che producono il vino dai macini d’uva, costituivano le delizie preferite degli dei.

Questo promontorio sorge difronte al mare e ne riesce a consolare i moti. I moti, talvolta burrascosi, del dio Poseidone turbavano gli abitanti di questa terra maestosa. Questa fetta di paradiso non può che essere la terra dei Ciclopi.

I Ciclopi sono ricordati dallo storico Tucidide, nel libro VI delle Storie:

“Si dice che i più antichi ad abitare una parte del paese fossero i Lestrigoni e i Ciclopi, dei quali io non saprei dire né la stirpe né donde vennero né dove si ritirarono: basti quello che è stato detto dai poeti e quello che ciascuno in un modo o nell’altro conosce al riguardo.”

La loro memoria nel complesso mondo della mitologia è però dovuta in primo luogo ad Omero, chededica al più famoso di essi, Polifemo, un ruolo da antagonista in uno degli episodi della leggendaria saga di Ulisse.

Così l’antico aedo greco, con la voce narrante dell’errante re di Itaca, introduce questo singolare personaggio mitologico nel libro IX dell’Odissea:

“Quando dunque arrivammo alla terra vicina,
qui sull’estrema punta una grotta vedemmo, sul mare,
eccelsa, ombreggiata da lauri; e qui molte greggi,
pecore e capre, avevano stalla; intorno un recinto
alto correva, fatto di blocchi di pietra,
e lunghi tronchi di pino, e querce alta chioma.
Qui un uomo aveva tana, un mostro,
che greggi pasceva, solo, in disparte, e con altri
non si mischiava, ma solo viveva, aveva animo ingiusto.
Era un mostro gigante; e non somigliava
a un uomo mangiatore di pane, ma a picco selvoso 
d’eccelsi monti, che appare isolato dagli altri.” 

I Ciclopi erano dunque un popolo di giganti antropofagi, di incredibile forza e dediti alla pastorizia, fisicamente caratterizzati, oltre che dall’alta statura, dall’unico occhio in mezzo alla fronte. Figli del dio Poseidone, abitano la Trinacria (Sicilia), una terra fertile e boscosa, vivendo isolati.

Ulisse si scontrerà con uno di loro, Polifemo, affermando la vittoria dell’intelligenza sulla forza bruta.

Polifemo viveva con il suo gregge, formato dagli armenti del dio Sole, in una caverna, che, nascosta ad occhi distratti, si trova, secondo una credenza popolare, sotto la rocca del castello di Milazzo.

Ulisse, sbarcato in Sicilia insieme ai suoi dodici compagni, gli chiese ospitalità, ignaro della natura e delle intenzioni del Ciclope. Invece di ospitarli, Polifemo li catturò con l’intenzione di divorarli, cosa che iniziò subito a fare con alcuni di loro. Promise e assicurò però ad Ulisse che lui sarebbe stato l’ultimo ad essere divorato grazie al suo “carisma” e per ringraziarlo del vino che gli aveva donato gli chiese, inoltre, quale fosse il suo nome.

Ulisse, astutamente, rispose di chiamarsi “Nessuno”. Così di notte, mentre Polifemo, dormiva ubriaco, Ulisse e i suoi uomini aguzzarono un grosso palo e lo conficcarono dentro l’unico occhio del Ciclope, accecandolo.

Polifemo gridò aiuto chiamando gli altri Ciclopi, ma quando questi gli chiesero cosa stesse succedendo egli rispose che Nessuno aveva cercato di ucciderlo con l’inganno, per cui questi, credendolo pazzo, se ne andarono.

Ulisse, “l’uomo ricco d’astuzie”, eroe dal multiforme ingegno, intuì che per poter uscire dalla caverna, bastava nascondersi sotto il ventre di un grosso montone e invitò i suoi compagni a fare altrettanto. Quando la mattina seguente Polifemo fece uscire il gregge, pur controllando i montoni, non si accorse dunque che Ulisse e i suoi stavano fuggendo sani e salvi dalla grotta:

“Come, figlia di luce, brillò Aurora dita rosate, 
allora balzarono al pascolo i maschi del gregge.
[…]
Il padrone tastava laschiena di tutte le bestie, 
ch’eran già ritte; non sospettòlo stolto che gli uomini 
eran legatisotto le pance delle bestie lanose. 
Ultimo il maschio del gregge mosse verso la porta, 
pesante della sua lana e di me, il molto accorto […].”
GROTTA,

Così Ulisse e i suoi compagni riuscirono a rifugiarsi al sicuro sulla nave, e in quel momento, fiero della disfatta del Ciclope, l’eroe omerico gridò il suo vero nome a Polifemo. Quest’impeto di orgoglio non giovò peròalla salvezza di Ulisse e dei suoi compagni, poiché il Ciclope, adirato, rimosse dal costone roccioso un enorme masso e lo scagliò verso il mare, riuscendo quasi a colpire la nave dei fuggitivi.

“Egli sollevato di nuovo un macigno molto più grande
L'avventò roteando, gli impresse un impeto immenso: 
cadde dietro la nave dalla prora turchina, 
poco lontano, e quasi colpì l'estremità del timone”.

Questa terra custodisce tante leggende e tante storie da scoprire, colme di mistero e bellezza. Non parliamo solo di tramonti mozzafiato o di statue perfette, parliamo anche della nostra identità, che si esprime attraverso mille sfaccettature. Arte, mitologia e leggende sono tasselli fondamentali della nostra identità e abbiamo il dovere di portarne in alto i colori, solo allora tutti ci renderemo conto dell’immenso onore di abitare questa Isola.

Francesca Fleres 2B CH

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