Un film per vedere la shoah con gli occhi di un bambino
Il film “Jona che visse nella balena” di Roberto Faenza, come molti altri ambientati durante la Seconda Guerra Mondiale, fa riflettere sulla tragedia della shoah vista attraverso gli occhi di Jona, un bambino ebreo olandese di quattro anni che cresce serenamente in una casa di Amsterdam con i genitori. Nel 1940, però, dopo l’occupazione della città da parte dei tedeschi, Jona e i suoi genitori vengono portati in un campo di concentramento olandese, dove rimangono alcuni giorni e successivamente vengono trasferiti con gli altri prigionieri e rinchiusi nel campo tedesco di Bergen-Belsen, dove trascorreranno l’intero periodo della guerra. I giorni scorrono e il bambino soffre di freddo, di fame, di paure e sofferenze, provocate anche da parte degli altri ragazzi. Sono pochi i casi in cui viene trattato con garbo: solo il cuoco, che dopo morirà, e il medico dell’ambulatorio sono gentili con lui. Il destino dei suoi genitori poi, come per la maggior parte dei deportati, sarà tragico e il padre morirà di stenti per mancanza di cibo. Sono gli ultimi giorni di guerra, Jona e la madre lasciano il campo per salire a bordo di un treno che vagherà in territorio tedesco prima di essere liberato dalla truppe sovietiche. Ma la donna, ormai stremata, non si riprenderà dalle sofferenze subite, fino a impazzire per la morte del marito e morire anche lei in un ospedale subito dopo la liberazione. Jona rimane solo, ma tornerà a casa ad Amsterdam e lì verrà adottato da una anziana coppia di amici dei suoi genitori, finalmente ritrovando la serenità e la voglia di vivere.
La storia del film non è inventata, ma è tratta da una vicenda vera. Jona crescendo è diventato uno scienziato importante, ma non dimenticherà mai quello che ha visto. A differenza della maggior parte delle storie ambientate in questo periodo, il piccolo protagonista si salva, ma non prima di avere vissuto sulla propria pelle le conseguenze della follia umana, avere visto con i suoi occhi innocenti il dolore e la sofferenza. Le scene sono tutte significative, ma un momento che mi ha colpito particolarmente è stato quando i tedeschi hanno portano gli ebrei in un altro campo e il padre del protagonista si ricorda di aver dimenticato dei sigari che potevano essere molto utili per corrompere le guardie. Decide così di scendere dal camion per andare a prenderli e, quando al suo ritorno il camion è già in movimento, correndo con tutte le sue forze, ormai sfinito, riesce a risalire e a riabbracciare la sua famiglia. Poteva salvarsi, ma non voleva abbandonarli.
Nel film Jona si trova ad affrontare gli orrori della malvagità umana, l’odio da parte di un folle che, in nome di una ideologia sbagliata, con la soluzione finale vuole eliminare tutti gli ebrei perché li considera di razza inferiore. I suoi occhi sono costretti a vedere la disumanità di uomini che hanno perso la ragione, privando anche i bambini della propria infanzia e dei loro cari.
Vedendo il film, allora, mi è venuto da pensare alla malvagità umana, perché esiste, perché diventa più facile fare del male ad altri esseri umani che fare del bene. E penso alla spietatezza dei soldati tedeschi nei confronti di piccoli innocenti che, nei campi di concentramento, tutti i giorni lottavano per sopravvivere ad un gioco crudele voluto da menti ottenebrate dall’odio. I bambini, invece, dovrebbero sempre essere liberi di giocare con i loro coetanei, avere la mente sciolta da ogni pensiero e il cuore colmo di gioia e di felicità. Non ritengo giusto che un popolo debba essere perseguitato perché di religione diversa e non debba avere diritto a nulla, in quanto tutti hanno pari dignità sociale e non deve esistere distinzione di razza, di sesso, di lingua e di religione. Tutti gli uomini dovrebbero amarsi tra di loro, agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Per questo ritengo che sia importante ricordare e commemorare sempre la data del 27 gennaio, giorno in cui si celebra il “Giorno della Memoria”, perché non bisogna mai dimenticare ciò che è accaduto. E non basta, ritengo, dedicare una sola giornata ad un fatto così doloroso per la storia dell’uomo, perché rischia di diventare una scatola vuota. Serve piuttosto sapere, conoscere, capire cosa sia successo, perché il ricordo deve restare vivo nella mente di tutti, proprio per evitare che si ripeta ancora. Solo così quella memoria, quel ricordo, saranno strumenti per prendere le decisioni giuste.
Spero con tutto il cuore che fatti così gravi non si ripetano più in futuro, anche se ho qualche dubbio perché l’uomo purtroppo non ha cambiato il modo di pensare, che è quello di sentirsi superiore o più potente agli altri.
Cerchiamo allora tutti insieme di tenere sempre in mente il monito: Per non dimenticare!
Antonio Pio Giunta
Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G. (ME)