L’amore non è mai possesso
La “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne” viene celebrata il 25 novembre di ogni anno ed è una ricorrenza che accomuna tutte le donne, in tutto il mondo, soprattutto dove questa violenza è quotidiana.
Secondo i dati una donna su tre tra i 16 e i 70 anni ha subito almeno una volta atti di violenza da parte di uomini, atti riconducibili a varie cause e che assumono varie forme: dalla violenza fisica, a quella psicologica, a quella di non poter lavorare ed essere totalmente dipendenti economicamente per vivere. Oltre a ciò, in altre culture in cui la donna è considerata inferiore, si aggiungono spesso altre sofferenze, come la mutilazione genitale o la lapidazione o la totale mancanza di libertà.
Ricordando la morte di Saman, la ragazza uccisa dalla sua stessa famiglia per il suo desiderio di vivere senza costrizioni, in occasione di questa “Giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne”, voglio soffermarmi proprio su questo aspetto. Nel mondo islamico, infatti, in certi ambienti più rigorosi, succede spesso che l’uomo, a cui è concesso il totale potere sulla moglie e sulla donna in generale, molte volte non viene meno dal picchiarla o maltrattarla, fino anche persino ad ucciderla.
E tutto ciò è considerato lecito. Inoltre, quando una donna assume atteggiamenti occidentali, magari truccandosi o esprimendo la volontà di cambiare stile di vita, come è accaduto a Saman, è lo stesso marito, o padre o fratello, che si occupa di punirla severamente, anche arrivando a segregarla in casa o a ucciderla.
Ma la cosa strana è che ciò spesso non viene considerato assolutamente “violenza in famiglia”. Perché, accanto alla religione, c’è un senso di “amore”. Naturalmente un’idea di amore sbagliata, distorta, un amore falso. Perché dire di amare un’altra persona fino al punto di ucciderla non significa volerle bene. Affatto.
‘Sei mia’ è una frase frequente che l’uomo dice alla sua donna, ma è un’affermazione che lascia un po’ perplessi. Perché non esprime “amore”, ma “possesso” cieco. E questo non può portare che dolore. Sempre.
Rajaa Ayoube
Classe I, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G. (ME)