I nuovi migranti del XXI secolo
C’è un fenomeno oggi che unisce due sfere sociali apparentemente diverse ma che hanno come conseguenza lo stesso risultato di allontanamento dal proprio paese: le migrazioni e il diritto al lavoro, la necessità di spostarsi in altri stati per trovare una qualsiasi occupazione e quella di cercare un impiego qualificato appropriato al proprio percorso di studi, spesso di specializzazione.
La premessa è quella che ogni cittadino ha stessa dignità sociale e tutti sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. La Repubblica afferma anche per tutti i cittadini il diritto al lavoro e sostiene le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Tutti hanno il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Essa favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro, riconoscendo la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero.
Ciononostante oggi esistono molti problemi per quanto riguarda i diritti dei lavoratori, e uno di questi è la “fuga dei cervelli”. L’Italia, da ormai molto tempo, è obbligata ad affrontare questo fenomeno, conosciuto anche in lingua inglese come “Human capital flight” , e che consiste nell’emigrazione all’estero di giovani laureati che godono di specializzazioni professionali. Questo rende possibile studiare e provare esperienze lavorative in altre nazioni, per aumentare il proprio apprendimento e competenze personali. Ma molti studenti italiani preferiscono non rientrare più in patria, perché credono di non poter ricevere offerte lavorative appropriate agli studi acquisiti. In effetti le condizioni lavorative, in Italia, non sono molto incoraggianti, anche per questi motivi: gli stipendi sono bassi anche per chi ha alle proprie spalle un percorso di studi eccellente e le possibilità di crearsi una carriera sono pochissime. In conclusione tantissimi italiani specializzati si vedono costretti ad abbandonare il proprio Paese. Però tanti sono anche i giovani che non hanno intenzione di lasciare la propria terra e spesso non hanno altre opportunità se non quella di cercare lavoro altrove. Se è vero che il tasso di occupazione sta in generale aumentando, è anche vero che la disoccupazione giovanile è arrivata un’altra volta al 40,1%; un laureato italiano su venti, a distanza di quattro anni dalla laurea, soggiorna all’estero e sono quasi 14.000 i laureati che ogni anno vogliono trasferirsi in un’altra nazione, con un tasso di emigrazione il doppio rispetto al 2011.
Secondo uno studio della “Fondazione Migrantes” del 2016, la fuga dei cervelli riguarderebbe più che altro ragazzi fra i 18 ed i 34 anni di età che raffigurano un terzo degli italiani all’estero. I Paesi più apprezzati sono Inghilterra, Spagna, Brasile ed Argentina, ma anche Paesi in forte sviluppo come l’India, gli Emirati Arabi ed il Sud Africa.
È sicuro che 500 mila laureati stranieri hanno scelto di abitare in Italia ma, nonostante questo possa sembrarci rassicurante, l’Italia è in realtà l’unico Paese europeo ad avere un saldo negativo fra ricercatori in uscita e in entrata: è infatti del -13%. Questi dati sono molto preoccupanti perché il nostro Paese sta perdendo le menti più brillanti.
Perciò il problema non è se un giovane si trasferisce all’estero, per fare un’esperienza di studio o lavoro in un altro Paese, perché rappresenta un’opportunità. Ma se è una fuga obbligata invece questo non può che essere considerato un “fallimento”.
Aurora Biondo
Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G