Ungaretti, omaggio per il 50° anniversario della morte
E il cuore quando d’un ultimo battito, avrà fatto cadere il muro d’ombra, per condurmi, Madre, sino al Signore, come una volta mi darai la mano.
Giuseppe Ungaretti, La madre
Così immaginava il suo ultimo viaggio Giuseppe Ungaretti per mano a quella madre che l’aveva messo al mondo ad Alessandria d’Egitto e che, giovane vedeva, era tuttavia riuscita a farlo studiare e a mandarlo all’università a Parigi. Qui aveva legato con Apollianire, De Chirico, Papini, Soffici, Palazzeschi, Marinetti e pubblicati i primi versi, ma sarà la partecipazione alla Grande Guerra a forgiare un linguaggio nuovo.
“Avevo bisogno di un linguaggio che fosse essenziale…., riducendosi al vocabolo, essenziale proprio al punto estremo”.
Tra le due guerre si sposa, lavora come giornalista, firma il Manifesto degli intellettuali fascisti, raggiunge la fama, ma conosce anche il dolore più grande, la morte di un figlioletto di 8 anni. Nel 1942 gli offrono la cattedra d’Italiano alla Sapienza, epurandolo nel dopoguerra viene reintegrato dopo una lunga e travagliata trafila.
Capofila dei poeti ermetici, maestro di generazione di letterati, quando una polmonite, l’1 giugno del 1970, se lo porta via a Milano può dire, come Neruda, di aver vissuto!
Amato per i suoi versi innovativi e profondi, credeva profondamente nella parola poetica, unica possibilità per salvarsi da “l’universale naufragio”, e con “Mi illumino / d’immenso“, Giuseppe Ungaretti, il più importante e significativo poeta italiano del Novecento, testimoniava al mondo il grandissimo amore per la vita, lo stesso amore alla base di tutta la sua opera.