Le misure di contenimento Covid hanno chiuso scuole e chiese
“Anno bisesto, anno funesto” recita un antico detto. Nessuno ci aveva pensato fino a febbraio del 2020, quando arrivò anche in Italia quel mostro chiamato Covid19. Da quel giorno tutto si colorò di grigio, grigio come il minaccioso, come le nuvole foriere di temporali, come molte delle pareti delle case in cui siamo stati tutti rilegati. Grigio come il colore delle nostre anime e dei nostri umori. Tutti pensavamo che dovesse durare solo qualche settimana, invece… La pandemia e le misure di contenimento hanno colpito tutti, senza eccezioni e per diversi mesi. Condizioni come la disponibilità economica, l’approccio alla tecnologia, la situazione lavorativa, la scuola sono cambiate adattandosi a questo dramma sanitario, sociale… individuale. Tutto è cambiato: i ritmi della quotidianità e il tessuto sociale sono stati stravolti, i familiari sono stati divisi dai propri affetti, le madri dai figli, gli anziani lontani nelle loro case di cura troppo spesso focolai di contagio e troppo spesso destinati a morire da soli.
Scuole e asili chiusi, attività sportive interrotte e pomeriggi al parco vietati. Il nuovo scenario imposto dalle norme per vincere la guerra contro il coronavirus ha costretto tutti a stravolgere le proprie abitudini. E così, da un giorno all’altro, anche noi ragazzi ci siamo trovati a trascorrere intere giornate lontani da amici, professori, compagni di scuola e divertimenti all’aperto. Di fronte a questo dramma istituzioni, centri, associazioni si sono adoperati per alleviare il grande disagio dei giovani che, seppur con notevole difficoltà, hanno rispettato le regole dimostrando grande responsabilità e resilienza. «Gli abbiamo chiesto di stare “imprigionati” proprio in una fase della vita che per definizione deve stare nel fuori, vivere di esplorazioni e di relazioni». Chiusi in casa, assetati della naturale condizione del giocare, correre, ridere e scherzare… urlare. Questo tempo eccezionale, apparentemente più lento ma che certamente si svolge in uno spazio fisico e di relazioni più ridotto, è diventato invece un’occasione per rafforzare i rapporti famigliari e un’opportunità per riallacciare i vecchi rapporti amicali con una nuova consapevolezza, in un’ottica diversa, lontana dall’ipocrisia e dall’egoismo che fino ad oggi serpeggiava liberamente nelle relazioni nate troppo frettolosamente, troppo superficialmente, figlie più del “piacere” momentaneo che del Bene in quanto valore assoluto e duraturo. Ma se i giovani si sono visti privati delle loro relazioni con la chiusura delle scuole, non possiamo dimenticare un’altra categoria, quella di chi ha sempre cercato conforto nella preghiera e che hanno trovato le porte delle chiese chiuse.
Di coloro che puntualmente osservano i dettami morali e religiosi recandosi a messa per assistere alle funzioni e a tutte le cerimonie che in una chiesa si svolgono, come i battesimi, i matrimoni e più di ogni altro i funerali. La chiusura delle chiese ha determinato contrastanti linee interpretative. Chi l’ha considerata un atto dovuto per il bene e la salvaguardia dell’individuo, accettando questa scelta come necessaria, c’è invece chi l’ha contestata vivendola come un’inutile forzatura che ha allontanato i credenti dal luogo in cui potevano trovare conforto pregando. Ma se le porte delle chiese sono rimaste chiuse nel buio e nel silenzio del loro interno, fortunatamente ci sono state tante stelle che hanno continuato a brillare diffondendo luce e calore nelle anime dei credenti. In primis il Santo Padre Papa Francesco, che con la sua forza, tendendo le sue stanche braccia da una piazza San Pietro deserta, fredda e piovosa, ha abbracciato il mondo intero diffondendo serenità e conforto.
Altrettanto i parroci di tutte le parrocchie che in diversi modi hanno fatto sentire la loro presenza celebrando la Santa Messa in streaming o dalla terrazza, girando con piccoli mezzi e muniti di megafoni, facendo video chiamate ai parrocchiani ammalati; infermieri e dottori, che hanno dato l’estrema unzione senza riserve e timori, alcuni pure sacrificando la propria vita. Tuttavia queste iniziative hanno reso ancor più evidente la desolante assenza della Chiesa nelle nostre vite, soprattutto nel momento ultimo, quando si lasciano gli affetti più cari e quando proprio questi ultimi posso trovare un po’ di conforto nella celebrazione di un degno funerale per i loro congiunti e che, per ben due mesi, è stato impossibile officiare. Il distanziamento sociale ha richiesto grossi sacrifici a tutti e, se è vero allora che “tutta l’umanità era sulla stessa barca”, è innegabile però che si trattava di una barca con tanti scompartimenti, ognuno caratterizzato da un differente grado di percezione del malessere. Ed è da qui che ciascuno deve ricominciare per trovare una nuova forza da cui ripartire.
Rita Chiara Scarpaci
Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.