Lotta senza timore alla cultura mafiosa
La mafia è una problematica che, nonostante il passare dei secoli, tutt’oggi è presente nella società e continua ad essere una minaccia per la legalità. Sin dalle sue origini, che risalgono al ‘900, si è cercato di contrastare le organizzazioni criminali, ormai radicate nella cultura e nella società italiana, senza ottenere la loro completa dissoluzione. Sono sorte politiche antimafia, come l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc) e la Commissione Parlamentare antimafia, su proposta dei senatori Ferruccio Parri e Simone Gatto. Quest’ultima però non impedì alla mafia di proseguire con il suo operato: negli anni’70 si passò dalle tradizionali faide tra famiglie mafiose, a veri e propri attentati e assassinii, che vengono considerati come la “seconda guerra di mafia”. Negli anni a seguire la lotta contro la mafia si intensificò, coinvolgendo gente proveniente da tutte le categorie, frustrata dalle delusioni di un mondo corrotto. Tra essi troviamo nomi noti, come Peppino Impastato, che dalla sua piccola radio di paese denunciava i crimini di Gaetano Badalamenti, un boss mafioso che viveva a “cento passi” dalla sua casa, mentre un’altra figura importante fu il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il cui omicidio, avvenuto nel 1982, svegliò le istituzioni da un lungo sonno: pochi giorni dopo, il Parlamento approvò la “Legge La Torre”, ovvero la legge che ruppe il silenzio bancario e che inserì il reato di associazione per delinquere nel Codice Penale.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino dedicarono la loro intera vita a questa causa. Loro, infatti, furono due dei quattro componenti del “Pool antimafia” che riuscirono a mettersi in contatto con un boss mafioso, che svelò i segreti di Cosa Nostra: Tommaso Buscetta. Il risultato fu il “maxiprocesso” tenutosi nel 1986-1987, che vide come colpevoli 456 imputati. Questa loro battaglia li costrinse però a vivere sotto scorta, per sfuggire alle minacce e ai tentati omicidi. Ma, nonostante tutto, nel giro di pochi mesi, entrambi vennero uccisi dalla mafia in modo plateale: Falcone morì il 23 maggio 1992 nella strage di Capaci, mentre Borsellino morì il 19 luglio 1992 nella strage di Via D’Amelio. Da quel momento le coscienze della maggior parte dei siciliani di scossero, anche se non mancarono nuovi attentati e uccisioni in quegli anni per zittire chi, ancora troppo solo, ha combattuto contro l’illegalità a rischio di sacrificare la sua vita.
E’ il caso di don Pino Puglisi, conosciuto anche con il diminutivo di 3P, che fondò il centro “Padre nostro”, nel quartiere di Brancaccio, dove accolse adolescenti già reclutati dalla criminalità e a cui insegnò che si può essere rispettati anche senza essere “mafiosi”. A causa di questo suo impegno civile e sociale ricevette spesso minacce, che culminarono però nel 1993 nel suo brutale omicidio.
Non è vero però che chi combatte contro la mafia muore, che per lottare per la legalità e il rispetto delle leggi bisogna essere “eroi”. E’ una convinzione che spaventa e allontana la gente normale da questa battaglia di giustizia che, invece, dovrebbe coinvolgere tutti. Perché è su questo principio di paura che la criminalità si fa forte, quando invece la forza è l’unione. “Adesso ammazzateci tutti” gridavano i ragazzi dell’associazione “Addio Pizzo” nata per denunciare le estorsioni che soffocano l’economia, sottolineando la forza di essere uniti, e molte sono le associazioni nate con lo scopo di contrastare le organizzazioni criminali. Tra queste ad esempio l’associazione “Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, fondata da Luigi Ciotti il 25 marzo 1995. La sua occupazione principale è quella di favorire la nascita di comunità alternative alla mafia e di promuovere la legalità e la giustizia sociale. La prima iniziativa di “Libera” fu quindi la raccolta di un milione di firme per la proposta di legge che prevedesse il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie, che venne resa tale il 7 marzo 1996. Inoltre Luigi Ciotti, consapevole che “La cultura dà la sveglia alle coscienze”, ovvero che l’istruzione è il modo migliore per togliere i ragazzi dalle mani della criminalità organizzata, ha fatto sì che “Libera” agisca attualmente in oltre 4500 scuole in cui vengono svolti dei percorsi di educazione alla legalità.
E’ chiaro quindi che per lottare in nome della legalità non è necessario sacrificare la propria vita, ma basta compiere dei semplici gesti, come rispettare le regole, far prevalere l’empatia e la solidarietà sull’egoismo ed emarginare chi usa la violenza e l’intimidazione per sopraffare gli altri. Ma ciò che è più importante fare è denunciare, perché la mafia si fonda sull’omertà, sul silenzio. Si deve rompere il silenzio per far crollare la mafia e bisogna combattere a favore della legalità per costruire una società giusta in cui tutti possano sentirsi liberi.
Irene Calabrese
Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.