Difendere la legalità per difendere la nostra libertà
La lotta alla mafia è una battaglia di libertà contro chi soffoca le coscienze, contro chi vuole confondere la verità con la menzogna, il bene con il male
Sono parole pronunciate dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte lo scorso 23 maggio 2019 nel corso delle celebrazioni del 27° anniversario dell’attentato in cui trovò la morte il giudice Giovanni Falcone, data designata come “Giornata della Legalità” per commemorare le vittime delle stragi mafiose di Capaci e via D’Amelio.
Sta per tornare questo anniversario, quest’anno il 28°, anch’esso modificato nel programma dall’avvento dell’emergenza Covid-19 ma non annullato. Il tradizionale corteo che radunava centinaia di migliaia di studenti provenienti da tutta Italia davanti all’Albero di Falcone diventerà infatti l’evento #PalermoChiamaItalia-Il coraggio di ogni giorno” dedicato dagli eroi di questa battaglia contro il virus, medici e personale sanitario, senza perdere tuttavia il suo valore di monito alla costante difesa della legalità messa in pericolo dalle organizzazioni criminali, da sempre la minaccia più grave per la vita democratica del nostro Paese.
La mafia, in particolare, nonostante le sue origini storiche, conobbe un grande sviluppo a partire dal dopoguerra e con la ricostruzione, quando i capi dell’organizzazione, riuniti in quella che veniva chiamata la “Cupola”, misero le mani sugli appalti edilizi, accumulando grandi ricchezze per tutti gli anni del “boom economico” degli anni ‘50 e ‘60.
Per questa attività la mafia cercò l’appoggio della politica sia locale sia nazionale, che in cambio di voti rilasciò permessi e tollerava abusi edilizi. Tuttavia negli anni ’70 essa riuscì a trovare un’altra fonte di ricchezza con il traffico della droga. Questa veniva importata dagli Stati Uniti e diffusa tramite la rete degli affiliati mafiosi: in questo modo nel giro di pochi anni l’organizzazione accumulò notevoli ricchezze. La sua presenza si estese poi su tutto il territorio nazionale e si insinuò in tutti i settori dell’economia. Nell’’82 però il paese reagì e la procura di Palermo fondò un gruppo, un “pool”, di magistrati impegnati solo su reati di mafia.
Da quel momento in poi sono stati tantissimi coloro che hanno dedicato la loro vita al tentativo di cancellare l’organizzazione criminale, cancro della società, dal nostro paese e dalla politica: uomini dello Stato come Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; giornalisti che come Peppino Impastato o Mario Francese hanno osato denunciare; sacerdoti come Pino Puglisi e don Ciotti. Sono solo alcuni tra i tanti, ma molti in questa lotta hanno perso la vita. Tutti vittime sacrificali della guerra contro la mafia, pochi i sopravvissuti nonostante le minacce. Tra questi combattenti che ancora non si sono fatti piegare è don Luigi Ciotti.
“Sono solo un cittadino che sente prepotente dentro di sé il bisogno di giustizia”. Bastano solo poche parole per capire chi è veramente quest’uomo. Non un semplice sacerdote, né un uomo qualunque, bensì un onesto cittadino al servizio della gente, di tutti coloro che chiedono aiuto e di chi non ne è capace o, peggio, non può. Uomo carismatico e di grande personalità, capace di parlare al cuore della gente per poterle dare una speranza di pace, di lealtà, di amore e di fede. Ma per conoscerlo e comprendere meglio come ha contribuito col suo lavoro alla lotta contro le mafie e alla difesa della legalità, dobbiamo ripercorrere le tappe più importanti della sua vita. Nato il 10 settembre 1945 a Pieve di Cadore, Luigi Ciotti emigra con la famiglia a Torino nel 1950. Nel 1966 promuove un gruppo di impegno giovanile, che prenderà in seguito il nome di “Gruppo Abele”, costituendosi in associazione di volontariato e intervenendo su numerose realtà segnate dall’emarginazione. Fin dall’inizio caratteristica peculiare del gruppo è l’intreccio dell’impegno nell’accompagnare e accogliere le persone in difficoltà con l’azione educativa, la dimensione sociale e politica, la proposta culturale. Ciotti nel 1972 termina gli studi, e viene con grande gioia ordinato sacerdote dal cardinale Michele Pellegrino: come parrocchia gli viene affidata “la strada”. E’ proprio qui che in quegli anni affronta l’irruzione improvvisa e diffusa della droga. Apre un centro di accoglienza e due anni dopo una comunità. Si dedica in maniera particolarmente attiva all’intenso dibattito che porta all’entrata in vigore, nel 1975, della legge n. 685 sulle tossicodipendenze.
Il suo impegno a difesa delle vittime della mafia inizia invece nel 1995 con la fondazione del gruppo “Abele”. Proprio in quel periodo, appunto, intensifica l’opera di denuncia e di contrasto al potere mafioso dando vita inoltre al periodico mensile “Narcomafie”, di cui è direttore responsabile.
A coronamento di questo impegno, dalle sinergie tra diverse realtà di volontariato e di un costante lavoro di rete, nasce nel 1995 “Libera-Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, un network che coordina ancora oggi, nell’impegno antimafia, oltre 700 associazioni e gruppi sia a livello locale che nazionale. L’obiettivo è quello di spingere al cambiamento etico, culturale e sociale cancellando alla radice i fenomeni mafiosi. Infatti Ciotti afferma spesso che la mafia “è un problema che ci trasciniamo da secoli perché è un problema di politica e sociale, un problema di lavoro, un problema di casa, un problema di scuola”. Ciò vuol dire che in assenza di istruzione, i ragazzi entrano a fare parte del “giro” molto più facilmente. Difatti la scuola li allontana dalla strada e li sensibilizza verso la legalità, plasmandoli e fornendo loro gli strumenti per combattere la criminalità attraverso la cultura. “Nella vita ho due grandi punti di riferimento, il Vangelo e la Costituzione. La mia vita è spesa nel cercare di saldare il Cielo e la Terra, la salvezza celeste con la dignità e la libertà terrena.” – afferma don Luigi Ciotti. Sono passati sei anni da quando il 21 marzo 2014 «Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie» entrano nella parrocchia romana di San Gregorio VII, mano nella mano, il prete torinese e Papa Francesco. Eppure il sacerdote ancora oggi continua ad essere meravigliato da quella richiesta del pontefice: “Non conosco bene il problema mafia; ti chiederei di mandarmi degli appunti”- “A me! Che sono piccolo piccolo! Se mia madre fosse viva non crederebbe che il Papa mi ha chiesto “gli appunti”!
Umiltà e fede. Don Ciotti come tantissimi altri si è impegnato e si impegna tutt’ora per sconfiggere quella “piovra” che, come afferma lui stesso, “ammazza la speranza della gente”. Ma a guidarlo è proprio quella fede e quel vangelo che porta sempre con sé.
La strada da percorrere è ancora lunga, e se noi tutti, per quanto possibile, non ci impegniamo e diamo il nostro contributo per contrastare questa dura realtà, che segna pesantemente la storia della nostra amata Italia da due secoli circa, non riusciremo mai a sradicarla totalmente.
D’altronde “Il miglior modo di far memoria è impegnarci 365 giorni all’anno”. Riflettiamoci.
Martina Crisicelli
Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.