martedì, Novembre 5, 2024
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La lunga scia di sangue che negli anni ’70 colpì l’Italia

Gli Anni Settanta sono stati un periodo di grandi cambiamenti sociali, culturali e addirittura di costume.

La lunga scia di sangue che negli anni ’70 colpì l’Italia

Ma, soprattutto, sono ricordati per la violenza e il terrorismo che in quel periodo hanno provocato devastazione, paura, squilibrio sociale e centinaia e centinaia di morti. Come è potuto succedere? E chi ha voluto o ha avuto interesse che questo succedesse? A questa domanda ancora oggi non è possibile dare una risposta. I misteri di quegli anni, infatti, a distanza di quattro decenni non sono ancora stati svelati. 12 dicembre 1969: una bomba esplode nella Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana, a Milano, diciassette morti e 88 feriti. 8 dicembre 1970: l’ex comandante fascista Junio Valerio Borghese, con l’appoggio della destra, dei vertici militari e di alcuni politici tenta un colpo di Stato. 15 marzo 1972: l’editore comunista Giangiacomo Feltrinelli muore per l’esplosione di una bomba che pare volesse piazzare sotto un traliccio vicino a Milano. 17 maggio dello stesso anno, il commissario Calabresi viene ucciso davanti alla sua abitazione con dei colpi di pistola.

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Due settimane dopo, 31 maggio: strage di Peteano, una telefonata anonima segnala al 112 una macchina sospetta. Tre carabinieri vanno a controllare e la macchina esplode, uccidendoli. 28 maggio del 74: strage a Piazza della Loggia, Brescia, quando durante un comizio dei sindacati, fatto proprio per condannare il neofascismo, esplode una bomba, 8 morti e un centinaio di feriti. 4 agosto 1974: un ordigno scoppia sul treno Italicus, sulla linea Roma-Monaco di Baviera, a pochi chilometri da Bologna, 12 morti e 48 feriti. Quattro anni dopo, il 16 marzo 1978: Aldo Moro, Presidente della Democrazia Cristiana, viene rapito mentre sta andando in Parlamento dove doveva nascere il primo Governo di “Unità Nazionale”. Resterà prigioniero due mesi circa per poi venire ucciso.

Uno straziante susseguirsi di eventi tragici, che spesso sono da molti dimenticati. Un pezzo di storia che esiste, c’è, ma non viene approfondito o studiato in modo particolare nelle scuole. Sì, ognuno di noi almeno una volta ha sentito parlare di “anni di piombo”, ma realmente si comprende il significato? Cosa hanno rappresentato per l’Italia e che ripercussioni hanno sul nostro presente? Perché “di piombo”? Li hanno chiamati così per via del materiale di cui sono fatte le pallottole che fra il 1969 e il 1988 hanno ucciso 197 persone, vittime di agguati terroristici e di altre 38 cadute negli scontri riconosciuti come episodi di “violenza politica”. È la macabra contabilità di un ventennio che ben presto è diventato, oltre che di piombo e di tritolo, anche “di ferro”, per via delle sbarre e delle celle blindate dove sono stati rinchiusi migliaia di detenuti accusati di quei delitti, di associazione sovversiva, bande armate rosse e nere, detenzioni di armi e favoreggiamenti vari. “Terrorismo” questa parola riecheggia come un martello nella storia di quegli anni. Terrore, paura, corruzione, violenza.

E’ stato il ventennio del terrorismo di destra o “terrorismo nero” e del terrorismo di sinistra o “terrorismo rosso”. Quest’ultimo, di matrice comunista, eseguiva rapimenti e assassinii di uomini-simbolo delle istituzioni (magistrati, uomini politici, funzionari di polizia, giornalisti e sindacalisti) per dimostrare alla classe operaia che i suoi peggiori nemici erano proprio coloro che apparivano più aperti alle riforme e spingerla quindi a fare la rivoluzione. La banda più celebre fu quella delle cosiddette “Brigate Rosse”, composte da persone per lo più appartenenti alle categorie di studenti ed operai. Pare che a fondare questo “partito armato” sia stato un giovane iscritto alla facoltà di Sociologia chiamato Renato Curcio, insieme ad Enrico Franceschini, un ex militante del Partito Comunista.

La lunga scia di sangue che negli anni ’70 colpì l’Italia
Mario Sossi il giudice sequestrato dalle Brigate Rosse

Come primo atto sovversivo nel 1974 sequestrarono il giudice Mario Sossi. Ma l’impresa più feroce fu compiuta nel 1978: il 16 marzo, quando appunto, rapirono lo statista democristiano Aldo Moro, massacrando gli uomini della scorta.

La lunga scia di sangue che negli anni ’70 colpì l’Italia

Dopo 55 giorni di prigionia, Moro fu ucciso e il suo corpo fatto ritrovare il 9 maggio nel centro di Roma. Il terrorismo di destra o “terrorismo nero”, così chiamato perché determinato da gruppi eversivi neo-fascisti, puntò invece alle stragi indiscriminate di civili con l’intento di terrorizzare la popolazione e indurla a chiedere un governo “forte” di destra che desse poteri illimitati al presidente del Consiglio e alle forze di polizia, privasse di autorità il Parlamento e spazzasse via le Sinistre. Insomma, una lotta che metteva il nostro paese in un crescente vortice di tensione.

Anche se poi il tempo ha scolorito i ricordi di chi li ha vissuti ed è stato più semplice dimenticare, per cui le nuove generazioni spesso sconoscono questa pagina della nostra scoria recente, è innegabile però che in Italia gli “Anni di piombo” furono il ventennio più intriso di violenza e rabbia di tutto il ‘900, dopo le due guerre mondali. Questa violenza, a “destra” come a “sinistra”, fu animata da ideologie diverse ma non poi così dissimili nell’intento di distruzione. Le due fazioni contrapposte colpirono con cieca violenza non solo i luoghi o le singole persone coinvolte, ma scossero un’intera società che per anni si sentì nel mezzo di due estremismi che sembravano avere come unico obiettivo “l’abbattimento del paese”.

Ancora oggi, a quasi quaranta anni di distanza dall’ultimo grande attentato, con difficoltà veniamo a conoscenza del “perché” e del “per come” siano trascorsi quegli anni oscuri. E c’è chi, come le tante organizzazioni dei familiari nate a seguito di quelle stragi, non a torto ritiene che ancora siamo lontani dalle verità, dalle responsabilità, dalla giustizia.

È necessario perciò ricordare sempre, non abbassare la guardia, così come forte deve essere la presa di posizione nei confronti di tutti gli estremismi, sia politici che religiosi. Rappresentare le nostre idee con la violenza senza dare spazio al dialogo costruttivo non fa parte di una società civile e non conduce infatti mai a quelle libertà tanto decantate, ma in realtà altro non è che il tentativo di privare con la forza, chiunque non sia d’accordo, dello stesso diritto di essere democraticamente liberi.

Martina Crisicelli

Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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