Noi adolescenti, scippati delle “piccole grandi cose” che non torneranno più
Le piccole cose. Andare a scuola, uscire con gli amici, andare a casa dei nonni la domenica. Queste sono quelle piccole cose di cui vi parlo. Spesso si pensa “Ma io domani mi annoio ad andare a scuola”, oppure “preferisco restare a casa che uscire”. E in attimo, ecco qui. Tutto quello che hai desiderato si fa concreto e reale. E allora pensi “Forse quel giorno dovevo andare a scuola”, “Era meglio uscire”.
È questo il concetto: l’importanza delle piccole cose si percepisce solamente quando le perdi. Ci voleva veramente una pandemia globale per rendercene conto? E ora che abbiamo ottenuto ciò che moltissime volte avevamo sperato, ci accorgiamo che poi non era così tanto bello come pensavamo… Solitudine, nostalgia, un vuoto incolmabile che sentiamo dentro ognuno di noi. Incolmabile è il vuoto che provoca la mancanza di contatto umano, incolmabile è il vuoto che provoca la mancanza di un abbraccio dai tuoi nonni, andare al cinema con gli amici, una passeggiata in riva al mare. Le videochiamate, i messaggi, non possono colmare questo vuoto e non lo potranno fare MAI. Addirittura la scuola, per quanto ci possa sembrare noiosa ed eccessivamente impegnativa, alla fine… ammettiamolo… manca un po’ a tutti noi studenti.
Vedete, questa quotidianità che abbiamo sempre tollerato più che amato, ora si fa sempre più nostalgica. Solamente ora, che viene totalmente stravolta da un virus mondiale, diventa la cosa più preziosa che si possiede. E la si rivuole indietro a tutti i costi, ma non si può, non è possibile. Ormai il lockdown del paese dura da due mesi. La nostra vita si è improvvisamente e malauguratamente ridotta alle quattro mura della nostra casa. Le giornate sono tutte uguali, come un eterno ciclo che si ripete. Ti alzi, fai videolezione, pranzi, studi per il giorno dopo, ceni, guardi la televisione e dormi. E poi da capo. E da capo. Sempre, la stessa cosa. Spesso chiedo a mia mamma “Ma oggi è domenica?”, per poi scoprire che è martedì. Sinceramente ho ormai perso il conto dei giorni, se non fosse per il calendario.
Ovviamente so che ho visto sparire la mia, ora fortemente desiderata, quotidianità il 4 marzo 2020. Mi ricordo precisamente quella giornata. E la rimpiango. Era un mercoledì e quel giorno a scuola avrei dovuto avere interrogazione di geografia. Alla fine non sono stata interrogata, ma avrei voluto che fosse così. Proprio oggi ho svolto la stessa verifica orale, ma con grandissimo dispiacere non tra i banchi della mia aula. Non davanti ad una cattedra, non davanti all’insegnante… Per quanta ansia possa comportare nella vita di noi studenti tutto questo, ora tornerei indietro e la svolgerei lì, a scuola. Ma non si può…
Tornata a casa dopo le dieci ore di lezione, previste come ogni mercoledì nella giornata di rientro pomeridiano, ero felicissima perché avevano annunciato che “fino a data da destinarsi” la scuola sarebbe stata chiusa. Lo eravamo un po’ tutti. Ma quella spensieratezza è durata ben poco. Quando mi sono resa conto che quella “data da destinarsi” per me era “per sempre”. Non avrei mai più messo piede nell’Istituto dove proprio quest’anno avrei concluso il mio ciclo di studi: la scuola secondaria di 1° grado “Foscolo”. Bella questa terza media, conclusa nel migliore dei modi direi! E quella tanto aspettata “gita”? Anche questa vanificata… Ridotta a quattro autorizzazioni bruciate da un virus. “Che sarà mai? Farai tante di quelle gite che a questa nemmeno ci farai caso..”. Forse è vero, ma la “gita di terza media” non si scorda. Tutte le avventure, disavventure trascorse durante i tre anni, il rapporto amore-odio con i compagni di classe che alla fine farà sempre parte integrante di noi e della nostra gioventù, in qualche modo si racchiudono nella “gita” finale. E io, i miei compagni, non vivremo mai questa “esperienza”.
Non so quanto durerà ancora questa situazione. Tanto? Troppo? Il giusto? Poco? So solo che per quanto possa essere desolante, ci insegna ad amare la vita. Ma non la vita in generale: la vita nei suoi aspetti più scontati ma non di minore valore. Nei suoi aspetti banali, che poi tutta questa banalità non hanno.
Torneremo, torneremo ad abbracciarci, torneremo a parlare guardandoci negli occhi percependo finalmente il contatto umano negatoci per mesi. E lo faremo con più gioia, ci penseremo su e sorrideremo. Allora prenderemo atto di quanto siamo fortunati e di quanto “le piccole cose” siano tutto e non possiamo farne a meno. E per questo gli daremo più importanza. Ci guarderemo in viso senza uno schermo che ci divide e capiremo che la vita è troppo breve per sprecarne anche solo un secondo.
Martina Crisicelli
Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.