“Anni di piombo” Un decennio di sangue, bossoli e bombe diretti al “cuore dello Stato”
Si avvicina il 9 maggio, data riconosciuta dalla Legge n.56 del 4 maggio 2007 come “Giornata della Memoria dedicato alle vittime del terrorismo”, data che ricorda quella “notte buia dello Stato italiano” in cui si concluse tragicamente l’azione più significativa ed eclatante di quel periodo tormentato: il rapimento e l’uccisione dell’onorevole Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana e l’uomo politico rappresentativo del governo in carica.
Erano gli “Anni di piombo”, indicati anche come gli anni della “strategia della tensione”, un periodo segnato da attentati terroristici volti a creare appunto una tensione nella società così da poter giustificare un cambiamento autoritario nel paese o una rivoluzione sociale. Furono quasi quindici anni in cui vennero portati a compimento centinaia di attentati e uccisioni, omicidi e ferimenti. Per la gravità di alcuni episodi, purtroppo è riduttiva questa formula. Stragi come quella di Piazza Fontana del 1969 o della stazione di Bologna del 1980 non si limitarono a colpire un singolo luogo e migliaia di persone, ma colpirono gli animi di milioni di italiani.
Gli “anni di piombo”, tuttavia, non si possono comprendere appieno se non si tiene conto della profonda trasformazione avvenuta in Italia nel secondo dopoguerra, poiché proprio questa fu la causa che determinò lo svilupparsi di questo tragico fenomeno. Furono decisivi infatti la situazione sociale ed economica creatasi in Italia a seguito del boom economico tra il 1958 e il 1963, l’azione del centro sinistra che cercò di riequilibrare gli squilibri provocati proprio dal boom economico, le manifestazioni di rivendicazione studentesche ed operaie che si verificarono tra il 1968 e il 1973 e non ultimo il tentativo di attuare riforme che dessero concrete risposte alle richieste di cambiamento della società italiana.
Dal 1958 al 1963 in Italia aveva avuto difatti inizio un mutamento che in pochi anni l’avrebbe trasformata da realtà sotto-sviluppata e contadina in una delle nazioni più industrializzate dell’Occidente, non senza condizioni né rischi. Infatti il ventennio 1950-1970 fu caratterizzato da un grande sviluppo del commercio internazionale che portò un periodo di benessere mai conosciuto fino ad allora. Ma fu anche grazie a forze strettamente interne come l’industria automobilistica (Fiat), seguita dall’industria elettrodomestica, dall’industria petrolchimica che si realizzò questo grande positivo cambiamento. L’abbandono delle campagne verso le città, la mutazione della struttura familiare ridotta nel suo nucleo, il cambiamento del ruolo della donna al suo interno, il mutato rapporto con le tradizioni religiose e la crisi dei vecchi valori cambiarono tutti gli equilibri che richiesero l’intervento di nuove forze politiche per ottenere risposte e riforme adeguate.
Le manifestazioni studentesche, le lotte operaie tra il 1968 e 1973 furono espressione di queste esigenze, ma la debolezza e la disorganizzazione nell’affrontare i cambiamenti necessari da parte del governo determinò la formazione di molteplici organizzazioni terroristiche che scossero la penisola italiana.
Così nel dicembre del 1969 avvenne la prima strage: una bomba scoppiò nella sede della Banca dell’agricoltura di piazza Fontana a Milano e provocò 88 feriti e17 morti. I mandanti dell’attacco terroristico non vennero mai scovati anche dopo i numerosi processi avviati dopo l’attentato, anche se furono comunque accusati alcuni anarchici che però risultarono successivamente innocenti.
L’attentato di piazza Fontana fu il primo di una lunga serie di attentati attribuiti a gruppi neo-fascisti, e dopo di quello seguirono la strage di Piazza della Loggia a Brescia, nel 1974 con 8 morti e 102 feriti, l’attentato sull’Italicus nell’agosto del 1974 al cui interno scoppiò un ordigno che provocò 12 morti e 48 feriti e, infine, il più tragico e forse inaspettato, quando sabato 2 agosto 1980 alle 10:25 scoppiò una bomba all’interno della stazione di Bologna, dove morirono 85 persone e 200 rimasero ferite, alcune anche molto gravemente. Nessun attentato aveva obiettivi politici evidenti: tutti miravano a colpire degli innocenti, in modo da creare sgomento e paura nell’opinione pubblica. Come detto precedentemente furono tutti attribuiti a gruppi di estrema destra, ma persiste ancor oggi il sospetto che questi fossero manovrati dai servizi segreti italiani o di altre nazioni. È però certo che lo scopo di questi attacchi fosse attuare la “strategia della tensione”, che consisteva nel creare un clima di tensione nel Paese attaccando la popolazione per creare instabilità e favorire una “svolta autoritaria”. Nello stesso decennio anche numerosi gruppi estremisti di sinistra accusarono il PCI (Partito Comunista Italiano) di aver rinunciato alla rivoluzione comunista e così, spinti dalla credenza che il popolo volesse una rivoluzione e che ormai si fosse vicini a una guerra civile, tra il 1977 e il 1979 organizzarono attentati con l’obbiettivo di far partire la rivoluzione.
Fu l’inizio del “terrorismo rosso”, i cui bersagli erano ben diversi da quelli del “terrorismo nero”, che puntavano sulla “teatralità” con grandi stragi. Le Brigate Rosse, infatti, colpivano uomini di rilievo, come avvocati, giudici, oppure poliziotti, giornalisti e docenti… Alcuni venivano giustiziati direttamente, altri “gambizzati” o sottoposti a processi popolari. Compresa la gravità della situazione che sembrava degenerare, Enrico Berlinguer, il segretario del PCI, propose il “compromesso storico”, ovvero una possibile collaborazione tra il Partito Comunista e DC. La proposta trovò consenso nella figura di Aldo Moro, così tra i due partiti iniziò una collaborazione chiamata di “solidarietà nazionale”.
L’alleanza però non venne vista positivamente dalle Brigate Rosse che, per fermarla, il 16 marzo ‘78, rapirono Moro. L’evento scosse molto l’Italia, poiché per i brigatisti colpire Moro era come “colpire il cuore dello Stato”. Per più di un mese, fino al 9 maggio, Aldo Moro rimase segregato e nascosto, mentre molte figure di spicco, come lo stesso papa Paolo VI, si impegnarono personalmente per il rilascio del segretario. Ma tutto fu vano. Il corpo venne ritrovato nel bagagliaio di un’auto a Roma. Lo Stato subì un duro colpo, ma l’accaduto ebbe l’effetto opposto di quello che le Brigate Rosse si aspettavano. Infatti l’assassinio diede il via a una durissima controffensiva da parte delle forze armate e, nell’arco di un paio d’anni, quella che per il “terrorismo rosso” doveva rappresentare lo “scacco matto”, la mossa vincente, si dimostrò l’inizio della loro stessa disfatta. I giovani compresero che la violenza e la morte non erano la risposta ai problemi e si distaccarono dai movimenti violenti, il popolo italiano seppe riprendersi e non lasciò che il terrorismo avesse posto nelle proprie vite. In questo modo i terroristi si trovarono isolati e persino rinnegati dal popolo per il quale dicevano di combattere.
Così si concluse un periodo veramente duro per la nostra Italia, un periodo di sangue, di bossoli e bombe, un periodo di stragi e di tensione, una pagina insanguinata che non possiamo scordare. Purtroppo ancora oggi se si prova a stabilire, tra i giovani, un dialogo su questo fenomeno che, in Italia, ebbe una vastissima portata, la risposta è comune: tutti, o quasi tutti, affermano di non sapere, dato che le loro conoscenze spesso si limitano a ricordi scolastici o cinematografici e che quindi non saprebbero esprimere un’opinione personale, ma solo riconoscere termini come Brigate rosse, Piazza della Loggia o “caso Moro”. Questo è un dato molto significativo perché sottolinea quanto la storia contemporanea sia poco conosciuta soprattutto dalla nuova generazione, “erede spirituale” della precedente. I giovani sembrano, infatti, non conoscere l’origine dei cortei, delle occupazioni e di tutte le manifestazioni organizzate dagli studenti stessi. È compito delle istituzioni scolastiche e di tutti gli enti quindi tenere vivo il ricordo di questo momento che nella sua drammaticità che ha segnato la storia del nostro Paese ma che ci ha reso quello che siamo: un popolo libero che combatte per i propri ideali senza brutalità.
Santi Scarpaci
Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.