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A Cefalonia la Resistenza scrisse una pagina indimenticabile di coraggio e democrazia

La nascita della Resistenza italiana viene tradizionalmente collocata nel settembre del 1943, ma in parte non è così. Nei vent’anni precedenti, democratici progressisti, comunisti ma anche cattolici, conservatori laici e qualche monarchico, avevano combattuto separatamente contro un nemico comune: il fascismo e tutto ciò che esso rappresentava. Dopo l’armistizio di Cassibile, però, presero consapevolezza che, a partire da quel momento, era necessario uno sforzo supremo per riuscire ad andare d’accordo. Possedevano, oltre che esperienza cospirativa, maturità politica e senso di responsabilità e fu per merito dei veterani dell’antifascismo che la resistenza in Italia fece fronte comune. Era l’otto di quello stesso mese quando il governo italiano provvisorio, fondato nel luglio del ’43 in seguito alla caduta di Benito Mussolini, proclamò l’armistizio con gli Alleati anglo-americani. La Germania nazista, alleata dell’Italia fascista, invadeva il centro-nord del Paese. Gli oppositori del fascismo, di fronte alla fase più dura della guerra, si riunivano in un Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), che raggruppava comunisti, socialisti, azionisti, cattolici, monarchici, liberali. L’intervento dei partigiani si può definire quindi una vera e propria “guerra” per la difesa della nazione dal nazismo e dai collaborazionisti della Repubblica Sociale Italiana (RSI).

A Cefalonia la Resistenza scrisse una pagina indimenticabile di coraggio e democrazia

Una guerra ardua, guidata da uomini e donne di coraggio e onore, che hanno manifestato in questo modo il proprio sentimento patriottico. Alle volte è stata possibile una vera lotta armata, altre si sono semplicemente svolte azioni di sabotaggio e di guerriglia, molto spesso di resistenza passiva all’occupante. Cos’era la “resistenza passiva”? Non tutti ebbero il coraggio di schierarsi apertamente, ma appoggiarono in modo indiretto i partigiani, nascondendo o fornendo viveri a chi fuggiva. È per questo che si parla di Resistenza “passiva” o civile, perché molti italiani non combatterono l’Italia fascista direttamente con le armi, ma si schierarono ugualmente contro. In alcune fasi e alcune zone dell’Italia in guerra, specialmente nelle vallate alpine, i partigiani ottennero significativi successi, con la costituzione di “repubbliche partigiane” in piccole zone momentaneamente liberate. I tedeschi e i fascisti cercavano tuttavia in tutti i modi di mantenere il controllo della penisola attraverso continui rastrellamenti.

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Nel tentativo di sopprimere l’opposizione partigiana, le forze nazifasciste arrivarono addirittura al punto di devastare paesi interi uccidendone tutti gli abitanti, come successe ad esempio a Marzabotto in Emilia o a Boves in Piemonte. Furono atroci vendette contro i civili definite dai tedeschi rappresaglie. Un caso estremamente drammatico si verificò a Roma il 24 marzo 1944. Dopo che i partigiani avevano ucciso 32 soldati tedeschi durante un attentato, 335 furono le vittime dell’eccidio nazista: erano militari e civili, giovani e anziani, tra loro anche un sacerdote, “ apostolo della resistenza” don Pietro Pappagallo, prigionieri politici e 75 ebrei. Questa vicenda è passata alla storia come l’“eccidio delle fosse Ardeatine”, dal nome della cava presso la quale furono messe in atto le fucilazioni. Il professore Emilio Gentile, emerito di Storia contemporanea all’università Sapienza di Roma, descrive con queste parole il tragico accaduto. “Una pagina di orrore che ferì l’intera Italia: doveva essere una rappresaglia circoscritta a prigionieri e condannati a morte e invece rappresentò una vera e propria vendetta contro tutti coloro che, anche senza alcuna responsabilità politica, in Italia si opponevano al nazismo”.

Tuttavia, non è la prima volta durante il corso della seconda guerra mondiale, che assistiamo ad episodi che misero l’Italia antifascista in una condizione di miseria e paura, facendo maturare l’odio tra le file della resistenza. Già un anno prima infatti un altro eccidio aveva colpito l’Italia antifascista, ovvero l’eccidio di Cefalonia. Sì, la bella isola greca nello Jonio che è oggi un luogo di vacanze. Ieri, invece, al momento dell’armistizio le forze dell’Asse occupavano ancora la Grecia, aggredita nel 1941.

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Le isole joniche erano presidiate dalle truppe italiane della divisione Acqui, prive tra l’altro di qualsiasi copertura aerea, con una presenza germanica localmente meno consistente, ma che poteva usufruire dell’appoggio aereo dalle vicine basi greche. Subito dopo il proclama di Badoglio, il comando tedesco rivolse agli ex alleati un ultimatum: consegnare le armi e arrendersi, a meno che non decidessero di proseguire la guerra a fianco del Reich, aderendo all’appello di Mussolini che Hitler era, frattanto, riuscito a liberare. L’origine degli scontri che si verificarono in seguito è poco eroica: mentre il comandante della Divisione Acqui, il generale Gandin, consapevole dell’isolamento delle forze italiane senza alcuna possibilità di uscire dall’isola, stava ancora trattando con ufficiali tedeschi una soluzione che consentisse di salvare la vita e l’onore dei propri soldati, alcuni tenenti di loro sponte avevano fatto affondare a colpi di artiglieria due motozattere tedesche che stavano trasportando sull’isola materiale logistico. Questo ed altri atti di analoga violenza erano occorsi senza che dal comando di Divisione fosse stato ancora impartito alcun ordine, né di resistenza, né di resa. Servirono solamente a scatenare l’ira dei tedeschi e avevano offerto il motivo della dura reazione. Gandin prese allora un’iniziativa davvero straordinaria, che dimostra come egli avesse compreso il profondo mutamento avvenuto tra quelle migliaia di giovani italiani, pur tuttavia educati e cresciuti, fino alla vigilia della guerra, nella esaltazione della dottrina fascista e dell’alleanza con Hitler. Il 13 settembre, dunque, egli indisse in tutti i reparti un referendum su tre quesiti alternativi: unirsi ai tedeschi, cedere le armi oppure resistere all’attacco. La terza opzione venne accolta a stragrande maggioranza.

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Senza perdere tempo il generale Gandin trasmise ai tedeschi il seguente messaggio: “Per ordine del Comando Supremo italiano e per volontà degli ufficiali e dei soldati la Divisione Acqui non cede le armi”. Successivamente richiese un sostegno aereo che non arrivò mai. Le truppe tedesche e gli aerei in picchiata iniziarono gli attacchi. La battaglia venne ingaggiata ma, purtroppo, il 22 settembre, a causa dei cruciali attacchi dei caccia-bombardieri Stukas e dell’afflusso continuo di rinforzi tedeschi con notevole supporto di artiglieria, Gandin fu obbligato ad alzare bandiera bianca. Negli scontri morirono 1200 soldati e 65 ufficiali, di cui molti uccisi appena arresi. Subito dopo la cessazione dei combattimenti altri 155 ufficiali e 4700 soldati italiani, considerati “franchi tiratori”, nonostante indossassero la divisa, furono assassinati, a mano a mano che venivano fatti prigionieri. Sempre dopo la resa il generale Lanz chiese al comando delle armate della Wehrmacht in Epiro “istruzioni circa le modalità con cui si deve procedere contro di lui (Gandin), il suo Comando e contro gli altri prigionieri”. “Il generale Gandin e i suoi ufficiali responsabili devono essere trattati immediatamente secondo gli ordini del Führer”.

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Questa fu la risposta che portò all’esecuzione di Gandin, di altri 193 ufficiali e 17 marinai verificatasi tra il 24 e il 28 settembre. Finita la guerra il generale Lanz fu processato a Norimberga e il suo procuratore americano si espresse così, riguardo l’eccidio di Cefalonia.” Questa strage deliberata di ufficiali italiani che erano stati catturati o si erano arresi è una delle azioni più arbitrarie e disonorevoli nella lunga storia del combattimento armato. Questi uomini infatti indossavano regolare uniforme. Portavano le proprie armi apertamente e seguivano le regole e le usanze di guerra. Erano guidati da capi responsabili che, nel respingere l’attacco, obbedivano ad ordini del maresciallo Badoglio, loro comandante in capo militare e capo politico debitamente accreditato dalla loro Nazione. Essi erano soldati regolari che avevano diritto a rispetto, a considerazione umana ed a spirito cavalleresco”.

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Non se ne parla mai, non si ricorda questo tragico evento che ha segnato la storia della nostra patria, viene solo accennato nei libri di storia, o alle volte addirittura tristemente dimenticato. Questi caduti invece sono solo un esempio del sacrificio fatto da circa 45000 uomini e donne per liberare l’Italia dall’oppressione nazista. La resistenza in Italia ha avuto una valenza doppia rispetto alle altre nazioni europee. Se altrove si era combattuto contro il nemico invasore, nel nostro paese la lotta vide anche una sorta di guerra civile tra coloro che erano rimasti fedeli al partito e il resto della popolazione. Tante volte si è messo in dubbio quanto il valore di questa lotta clandestina sia stato importante per le sorti della nostra liberazione. Ma, ahimè, questa è la guerra. E allora non dimentichiamo come i protagonisti della Resistenza hanno dato un contributo fondamentale alla rinascita della nostra nazione segnando, in maniera indelebile la vita politica, sociale e culturale del dopoguerra. Ma questa è un’altra storia…

Martina Crisicelli

Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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