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La vita sospesa in attesa che tutto passi…

Mio nonno adora vedermi suonare la fisarmonica. La domenica quando pranzavamo insieme, mi chiedeva sempre di portarla con me e così, prima e dopo pranzo, gli suonavo “Rose rosse per te”, “Ciliegie rosse”, “Mio fratello” e moltissimi altri brani. E lui stava lì estasiato e, addirittura, con alcuni valzer e mazurche, prendeva mia nonna e cominciavano a ballare insieme, mentre tutti ritmavano con le mani e mio fratello mi accompagnava con la tastiera.

Parlo al passato perché oggi, fine marzo 2020, siamo rinchiusi in casa da più di venti giorni per via della pandemia del Coronavirus denominato Covid-19. I governi del mondo, in particolare l’Italia, hanno deciso che la “quarantena” è il modo migliore per arginarla, per contenere la propagazione della “peste del XXI secolo”. Ci sono stati troppi contagi, molte morti, specialmente al Nord, a Milano, a Bergamo, e le TV non fanno altro che ripetere tutte le precauzioni che bisogna prendere per fermare il contagio. Vedo anche che tantissimi medici e infermieri stanno facendo un lavoro immenso per salvare gli altri, mettendo in pericolo la loro vita, come dimostrano le tante morti anche tra di essi. La vita in isolamento, che all’inizio si accetta come una prova necessaria, però può essere molto triste se prolungata nel tempo.
Sogno quindi di poter fare una passeggiata lunghissima in libertà in riva al mare, oppure andare in giro per negozi, o semplicemente camminare per le vie della mia città, o ritornare a scuola, o giocare insieme agli amici di sempre correndo dietro a un pallone. La vita in “quarantena”, per dare un senso di ordine, è per noi ragazzi scandita da orari più o meno regolari, con collegamenti in video-lezioni con i nostri insegnanti, con lo svolgimento dei compiti assegnati che poi bisogna consegnare nelle piattaforme scolastiche. Poi ci sono i giochi, le discussioni, le ricette in cucina, gli allenamenti fisici, i film, in casa insieme ai miei genitori e a mio fratello.

Ci sono le videochiamate con parenti e amici per cercare anche di mantenere dei contatti con il mondo esterno. Qualche volta, rara, munito di guanti e mascherina sono andato con mio padre a fare la spesa al supermercato, rimanendo però seduto in macchina in una posizione con buona visuale per vedere passare la gente.

La vita sospesa in attesa che tutto passi...

La cosa che più mi sconvolge è vedere questo clima di guerra, di ospedale, con tutte quelle mascherine con le quali mi sembrano e sembriamo tutti malati che camminano. Ho visto gente litigare in fila all’esterno del supermercato perché quello dietro non rispettava la distanza di sicurezza, un altro che, non avvedendosi della lunga fila di persone distanziate, stava per entrare subito ma una guardia giurata glielo ha fatto capire e così è andato triste in coda.

Non mi sono invece piaciuti molto i canti sui balconi, come è stato fatto alcune volte in molte città con i cosiddetti flash mob organizzati sui social e poi realizzati. Io credo infatti non ci sia nulla da cantare o da suonare – e lo dice uno che suona e canta – perché ci sono state troppe morti e ancora si muore. Penso che quello lo si possa fare per festeggiare qualcosa, ma qui ancora non c’è nulla da festeggiare…

Spero invece che finisca tutto al più presto, perché la vita vera non è in quarantena. Ed è triste dover suonare per mio nonno in una videochiamata Whatsapp, la domenica a pranzo…

#DISTANTIMAVICINICOLCUORE

Domenico Calabrò

Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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