#IORESTOACASA. L’ITALIA CHE RESISTE
In questi giorni stiamo vivendo tutti un periodo di difficoltà causato dall’infezione da “coronavirus”, famiglia di virus che hanno un aspetto simile ad una corona e noti per causare malattie che vanno da un banale raffreddore a patologie gravi come la Sindrome respiratoria mediorientale e la Sindrome respiratoria acuta grave (SARS). Questa epidemia chiamata COVID-19, che ha avuto origine in Cina, si sta diffondendo in tutta Italia e nel mondo e il nostro Governo ha deciso quindi di emanare delle norme molto rigide di isolamento per evitare il contagio.
Anche se a noi questa situazione sembra nuova, in realtà nei secoli l’umanità è stata colpita da diverse epidemie. Ricordiamo infatti che nel Medioevo, intorno alla metà del Trecento, si propagò la famigerata “Peste Nera”, una delle tante ondate cicliche di questa malattia allora incurabile. In quell’epoca Giovanni Boccaccio, grande scrittore e poeta fiorentino, ispirato da questa situazione, iniziò la composizione della sua opera più nota: il “Decameron”, una raccolta di cento novelle in lingua volgare.
L’autore immagina che, durante il diffondersi della pestilenza del 1348, tre ragazzi e sette ragazze per sfuggire al contagio si rifugiano in una villa in campagna, dove a turno si racconteranno delle storie, una al giorno per dieci giorni che alla fine risulteranno appunto cento. Ogni racconto ha una tematica diversa, ma le più ricorrenti sono: l’amore, le azioni nobili, le disavventure finite bene, l’intelligenza, la beffa, la fortuna e la rappresentazione realistica del clero e dei suoi vizi. Il “Decameron” rappresenta dunque un quadro della società del ‘300, una specie di “commedia umana”, in contrasto con la “commedia divina” scritta da Dante Alighieri. Nel Medioevo, però, non c’erano tutti i mezzi che abbiamo oggi, quindi i medici, prima di individuare che una persona potesse essere malata, la dovevano toccare, odorare e vedere, per valutare se lo sfortunato fosse stato contagiato. Ma come veniva affrontata inoltre a quei tempi una malattia così rischiosa? Quest’infezione all’epoca era incurabile e, visto che era trasmissibile, l’unico modo per non infettarsi era non entrare in contatto con i malati. Per evitare il contagio, perciò, i pazienti venivano sistemati in isolamento nei “lazzaretti”.
Nel Seicento le malattie a cui non si trovava una cura erano in particolare la peste e la malaria, che secondo i dottori erano causate dall’aria maligna, mentre nel Settecento si propagò invece un’altra malattia, il vaiolo, una patologia infettiva che creava delle croste sulla cute definite pustole ma per la quale si fece anche una costatazione casuale che portò a una scoperta importante. Lady Mary Montagu, moglie dell’ambasciatore inglese, rivelò infatti che a Costantinopoli il vaiolo era sconosciuto perché le popolane turche prevalevano materiale infetto dalle pustole e lo strofinavano su una piccola ferita dei bambini sani. Nasce così la “vaccinazione”. Anche nell’Ottocento si sviluppa una nuova epidemia: la tubercolosi, alla quale non si trovò una cura ben precisa, si diede la colpa nuovamente all’aria maligna e si introdussero nuove direttive igienico-sanitarie per migliorare le condizioni di vita e di lavoro. Nella seconda metà dell’Ottocento, poi, Louis Pasteur capì che la soluzione di molte malattie poteva trovarsi nei germi e nacque l’idea che tutte le malattie dipendenti dai germi potevano essere curate con il vaccino. Grazie ai vaccini, quindi, oggi molte epidemie ed infezioni sono state debellate.
Nonostante i progressi della medicina, però, ci troviamo oggi a dover fronteggiare un’epidemia da Coronavirus per il quale è stato definito già lo stato di “pandemia”, cioè di epidemia con tendenza a diffondersi rapidamente attraverso vastissimi territori o continenti. E noi come stiamo affrontando questa situazione? In Italia il Presidente del Consiglio Conte ha deciso di prendere delle misure abbastanza drastiche per evitare il propagarsi di questo virus, tra cui la chiusura delle scuole fino al 3 aprile e l’introduzione di lezioni didattiche online, e in particolare delle direttive riguardanti la nostra vita quotidiana per le quali non si può uscire di casa, a parte per fare la spesa e per andare in farmacia, e sono sospese le attività commerciali non necessarie come bar, pub, parrucchieri, ristoranti e centri estetici. Sono state istituite anche delle rigorose norme igieniche che ci consigliano di lavarci sempre le mani, di evitare di toccare occhi naso e bocca, di stare ad un metro di distanza l’uno dall’altro, di tossire nel gomito ed altre indicazioni. Tutta l’Italia è insomma diventata zona protetta, sono stati limitati gli spostamenti delle persone tra le varie regioni e paesi e annullate le manifestazioni pubbliche, perchè questo serve a ridurre il contagio ed evitare i sovraffollamenti degli ospedali, già in situazione critica.
Tra la gente c’è comunque molta ansia, timore e disubbidienza nei confronti dei provvedimenti dati. Ma non siamo soli a combattere questa battaglia perchè, proprio qualche giorno fa è arrivato a Roma il professore cinese Liang Zongan con altri otto esperti per aiutare gli italiani, portando macchinari per la respirazione, tute, mascherine e protezioni, oltre ad alcuni medicinali antivirus e campioni di plasma di pazienti guariti. Gli esperti cinesi sono andati anche all’Ospedale “Spallanzani”, il centro specializzato di Roma per la cura delle infezioni, per confrontarsi con i colleghi italiani e condividere le loro esperienze cliniche per non compiere gli stessi errori che hanno compiuto loro e in modo tale da uscire al più presto da questa situazione.
Certamente oggi, rispetto alle epidemie che si sono verificate nei secoli passati, siamo più avvantaggiati, e non solo per le cure più efficaci ma anche perchè, grazie ai sistemi informatici, possiamo comunque proseguire le nostre attività. Infatti ci teniamo in contatto via web con i professori, amici e parenti, così il momento sembra meno duro, anche se spesso questo ci porta a stare troppo sul web. Dovremmo invece seguire l’esempio dei personaggi del Decameron: stare a casa, leggere, studiare, scrivere, disegnare, inventare storie e fare un po’ di vita “casalinga”, come si faceva una volta. In questi giorni infatti ho imparato a lavare i piatti, impastare la pizza e a fare le tagliatelle ed è stato un vero spasso.
Spero però davvero che questo brutto momento possa passare in fretta, per uscire di nuovo, tornare a danzare con le mie amiche, ma soprattutto non vedo l’ora che tutto finisca per poter rivedere e abbracciare tutti i miei amici e parenti, insomma per ritornare alla normalità. E’ una situazione inaspettata e drammatica, ma di certo questa esperienza ci servirà perché possiamo renderci conto dell’importanza dei rapporti umani, della solidarietà tra i popoli, e soprattutto per riscoprire la semplicità e la bellezza della quotidianità.
Sofia Mammola
Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.