venerdì, Novembre 22, 2024
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Guerra in Libia, rendiamoci consapevoli del dramma che si consuma

Questo è il primo di una serie di articoli, storie e racconti dedicati a tutto ciò che, troppo spesso, viene tralasciato dai nostri divulgatori di informazione. I nostri telegiornali parlano molto di festival, contrasti politici e partitici, manifestazioni sportive e non, e dati economici. Ma non parlano abbastanza dei grandi scontri armati politici e sociali che si consumano tutti i giorni: guerre e conflitti occupano solo il 4% di attenzione nei tg nazionali.

L’informazione è il primo passo verso il cambiamento: questo è il nostro contributo. Se anche una sola persona si interessasse a conoscere l’umanità violata che ci circonda, sarebbe già un buon punto di partenza. Ma ogni individuo può e deve  scegliere la causa che ritiene più nobile e urgente ed agire per essa.

La guerra in Libia

Mentre per gli stati sviluppati occidentali la guerra ha solo valore storico, lontano ricordo anche per i più anziani, non molto distante da noi la guerra non solo è presente, ma distrugge il futuro di milioni di persone.

Ciò che possiamo fare da casa nostra è renderci consapevoli del dramma che si consuma a poche migliaia di chilometri dalle nostre coste. 

Le fasi del conflitto

2011:  Scoppia una rivoluzione del popolo contro il regime. Gli stati occidentali intervengono e fanno cadere Gheddafi. La comunità internazionale non schiera forze di pace e stabilizzazione e la Libia, lasciata a sé stessa, cade nelle mani di numerose milizie armate. 

2012: Avvengono le prime elezioni, ma con il tempo i partiti islamisti prendono il sopravvento.

2014:  Il generale Haftar intraprende un’operazione militare per liberare la Libia dagli islamisti. Nel contempo le forze islamiste vengono sconfitte alle elezioni ma si ribellano. Il nuovo parlamento si rifugia a Tobruk, sostenuto dalle forze di Haftar. I partiti islamisti istituiscono un nuovo governo con sede a Tripoli. Il paese si spacca in due.

2015:  L’ONU interviene formando un nuovo governo di unità nazionale per riconciliare le due fazioni. Nomina Sarraj, come primo ministro, e il suo governo viene riconosciuto dalla comunità internazionale. Il parlamento di Tobruk non lo riconosce e il paese rimane diviso. Inoltre nella parte desertica sono le varie tribù locali a comandare insieme all’Isis.

2019: Inizia l’ultima violenta fase in Aprile, quando il generale Haftar, a capo dell’esercito nazionale libico LNA, attacca Tripoli per conquistarla. Da allora i combattimenti continuano e la popolazione ne paga le conseguenze. Haftar, sostenuto militarmente e finanziariamente da Russia, Emirati Arabi, Egitto, Francia ed Arabia Saudita ha il controllo di quasi tutto il paese.  

Guerra in Libia, rendiamoci consapevoli del dramma che si consuma

Nonostante il presidente Sarraj sia stato insediato per fondare un governo democratico, egli si è legato nel tempo a potenti milizie criminali. Turchia e Qatar forniscono armi e fondi (violando così l’Embargo di vendita e fornitura di armi alla Libia in vigore dal 2011 per il consiglio di sicurezza ONU) alle forze di Sarraj. In particolare, il 27 novembre 2019 Sarraj e il presidente turco Erdogan hanno firmato un Memorandum: l’accordo prevede 5000 uomini dell’esercito turco da schierare a Tripoli oltre ad armi pesanti e droni. Anche Gran Bretagna, Algeria ed Italia rientrano tra i sostenitori militari e finanziari di Sarraj.

Recenti sviluppi

Gennaio 2020: Erdogan (sostenitore di Sarraj) e Putin (sostenitore di Haftar) hanno dichiarato una tregua ma si è continuato a combattere.

19 gennaio: Si è tenuta a Berlino la conferenza sulla Libia per trovare una soluzione politica e risolvere il conflitto. Erano presenti Francia, Russia, Egitto, Italia, Turchia, USA, UK, Emirati Arabi, Cina, Repubblica del Congo, Algeria, UE, Lega Araba, Unione Africana, ONU. Sarraj e Haftar erano anch’essi a Berlino ma non hanno partecipato all’assemblea, pur ricevendo aggiornamenti costanti. La conferenza si è chiusa con una dichiarazione che impegna tutti gli stati a non interferire nel conflitto armato o negli affari interni della Libia e a rispettare l’embargo sulla vendita e fornitura di armi. Si impegnano anche a favorire il processo politico di democratizzazione. 

Interessi economici internazionali in Libia

La Libia ha la più vasta riserva di petrolio in Africa ed è un Paese strategico nello sfruttamento delle risorse di gas naturale. 

Poche ore prima della conferenza di Berlino, Haftar ha sfidato tutti dando istruzioni per fermare le esportazioni di petrolio (la produzione del petrolio libico si è abbassata da 1,2 milioni di barili al giorno a 70mila). Secondo l’ONU una simile mossa avrà conseguenze devastanti per il popolo libico (che dipende dal libero flusso di petrolio) e per l’economia del paese.

USA e UE stavano elaborando una soluzione per condannare la chiusura degli impianti petroliferi ma la Francia (alleata di Haftar) l’ha bloccata. L’Europa si è dimostrata ancora una volta spaccata sulla questione libica e quindi inefficace.

Distruzione e perdite

Mentre le potenze internazionali cercano di manipolare questa guerra per favorire i propri interessi, i civili ne fanno le spese. Infatti, nonostante il cessate il fuoco, l’ultima catastrofica fase della guerra continua da 11 mesi.

Secondo l’UNHCR (agenzia rifugiati dell’Unesco) sono circa 1 milione le persone in stato di necessità in Libia. Negli ultimi nove mesi si contano circa 2000 morti, di cui quasi 300 civili. I feriti sono migliaia e gli ospedali incapaci di gestire la situazione. Medicine e personale scarseggiano. Oltre 340mila libici hanno lasciato la propria casa e vivono nascosti all’interno del paese, spesso in edifici abbandonati. Secondo l’Unicef, da Aprile ad oggi, in 90mila sono stati costretti a fuggire dalla propria casa. Oltre 200 scuole sono state attaccate lasciando 200mila bambini senza educazione. Oltre 30 strutture sanitarie distrutte e 13 costrette a chiudere. Si contano oltre 350mila profughi interni.

A Tripoli, centro del conflitto tra forze governative e Haftar, nelle scuole il 50% dei bambini soffre di trauma (la scuola di Tripoli è stata bombardata tre volte). Il futuro di migliaia di bambini è seriamente compromesso.

Nelle università invece molti hanno lasciato gli studi per andare a combattere perché il governo non dava loro l’opportunità di studiare. Questo ha minato allo stesso modo il futuro della metà dei giovani libici.

Italia e Libia

Tra i governi che stanno seguendo con più attenzione gli sviluppi libici c’è quello italiano, che in Libia ha diversi interessi strategici ed economici.

Da un po’ di tempo il governo italiano, da sempre sostenitore di Serraj, ha cominciato a prendere posizioni sempre più ambigue. Questo atteggiamento si è visto per esempio nel Dicembre 2019 durante la visita in Libia del ministro degli Esteri italiano, Luigi di Maio, che ha incontrato sia Serraj che Haftar.

Riflessione

L’informazione è importante, forse la nostra unica arma. Ma la guerra (come la storia) non è fatta solo di numeri, date, luoghi, avvenimenti, armi o interessi economici. La guerra è prima di tutto persone, singoli, soggetti con un volto, un nome, una storia, una tragedia personale che può essere raccontata. Soprattutto oggi, grazie ai new media, la comunicazione può essere un vantaggio. Uno scambio di storie e persone che ci permette di risvegliare la compassione che condividiamo in quanto esseri umani. 

Ecco a voi alcuni spunti per questo argomento:

https://youtu.be/8-283o-m114

https://www.instagram.com/p/B8rTSsaou_E/?igshid=1b2uxkfgyx2mw

https://www.instagram.com/p/B7rGqdNIs7V/?igshid=1d0whuqiiftac

https://www.instagram.com/p/B7Jh9aooKfK/?igshid=1jtg9exx8bvql

https://youtu.be/Xk4yRKSV0DY

Vorremmo concludere con questa poesia che riguarda la guerra:


Gli uomini facevano la guerra
e i bambini correvano per la strada,
scalzi
e le loro scarpe,
sepolte sotto le macerie e sotto la polvere e sotto
le vite che non hanno più uno scopo.
E gli uomini partono marciando
e tutti applaudono e urlano
e non tornano
e se anche tornano, alla fine non tornano 
Partono pieni e tornano vuoti,
e nessuno è più ad aspettarli;
 perché le scarpe dei bambini sono vuote
e sono nere,
nere di cenere e fango
e camminiamo sugli scheletri di chi credeva
di combattere per tutti, ma combatte per
nessuno.
Gli uomini facevano la guerra,
e gli uomini la fanno ancora.
E mi colpisce la paura che siamo sempre gli
stessi, che in fondo nulla cambia mai:
e le scarpe rimangono vuote,
e i bambini corrono scalzi,
e i bambini muoiono scalzi.
 
Arianna Roetta

Sitografia

Arianna Roetta,  5U

Iman El Hachimi,  5U

Miriam Ninno,  5U

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