Le foibe, giorno del ricordo: “Non dimenticare diventa un imperativo”
«1. La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. »
Con queste parole la legge 92 del 30 marzo 2004 istituisce il ricordo di uno degli avvenimenti più dolorosi, e spesso divisivi, della storia italiana.
Dopo la sconfitta dell’Italia nella seconda guerra mondiale, Istria, Fiume e Zara, allora territorio italiano, vengono cedute alla Jugoslavia. Il passaggio comporta una serie lunghissima di violenze perpetrate dai partigiani comunisti guidati da Josip Broz, ‘Tito’, nei confronti di tutti coloro che considerano nemici della costituzione di una federazione comunista jugoslava sotto la leadership di gruppi dirigenti di origine serba. Per quanto riguarda gli ex territori italiani, la “pianificata volontà di epurazione su base etnica e nazionalistica“, come l’ha definita nel 2018 il presidente delle Repubblica Sergio Mattarella si svolge in due distinte ondate. La prima, nell’autunno del 1943, interessa principalmente l’Istria, dove accanto a squadristi e gerarchi fascisti vengono prelevati i possidenti e chiunque potesse far ricordare l’amministrazione italiana, che nei decenni precedenti aveva creato non pochi problemi. Questi territori, infatti, erano stati teatro di una politica di italianizzazione forzata per mano del regime fascista. La seconda ondata di violenze, invece, ha inizio nel maggio 1945 con l’arrivo delle truppe jugoslave in Venezia Giulia. In questo caso le rappresaglie colpiscono soprattutto i soldati della neonata Repubblica Sociale ma anche tutti coloro che vengono accusati di collaborazionismo con i regimi nazifascisti, e alcuni partigiani italiani, rei di non accettare l’egemonia jugoslava.
Le proporzioni esatte della tragedia, ancora oggi, non hanno confini certi ma si stima che nel periodo tra il 1943 e il 1947 gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case siano stati almeno 250mila con circa 20mila vittime. Diverse migliaia tra queste, tra le 4 mila e le 6 mila, hanno perso la vita all’interno delle foibe: profonde cavità naturali tipiche delle aree carsiche, dove venivano abbandonati i corpi dei giustiziati. Alcune delle più tristemente famose sono quelle di Vines, in Istria, e il pozzo di Basovizza, nei pressi di Trieste.
Secondo le ricostruzioni, i condannati venivano legati l’uno all’altro con un lungo fil di ferro stretto ai polsi e disposti lungo gli argini delle foibe. A quel punto i membri delle milizie titine erano soliti sparare solo ad alcuni di loro, che una volta colpiti cadevano nelle grotte portandosi dietro l’intera fila. In molti sono morti, tra crudeli sofferenze, dopo giorni ammassati sui cadaveri degli altri condannati.
“Non dimenticare diventa un imperativo”. Coltivare la memoria è, pertanto, un obiettivo da costruire e rafforzare giorno per giorno, da trasformare in un bene comune duraturo ma anche solido baluardo su cui costruire un futuro di pace e conoscenza.
Franca Genovese