Facebook: un libro aperto o un vicolo cieco?
Facebook e twitter sono tra i social più popolari e fanno ormai parte della nostra quotidianità e Facebook, è diventato, con oltre 850 milioni di utenti attivi, il sito più visitato al mondo dopo Google, il quale a sua volta negli ultimi tempi ha creato un proprio social network, Google+.
Da quando fu creato nel 2004 da Mark Zuckerberg, Facebook ha rapidamente incrementato il suo bacino di utenti: infatti inizialmente venne pensato esclusivamente per gli studenti dell’Università di Hardvard, poi esteso ad altri college ed infine dedicato a tutti gli studenti delle scuole superiori o con più di 13 anni. Facebook ha sfondato anche nel cinema, quando la trasposizione cinematografica “The Social Network” del 2011, la quale ripercorre la storia reale del sito, ha ottenuto un grande successo vincendo tre Oscar. Facebook, in quanto fenomeno sociale, deve invece la sua popolarità alla possibilità di creare un proprio profilo, uno spazio virtuale in cui condividere foto, video, commenti. Si può chattare con i propri amici, abolendo le distanze fisiche. Sempre più istituzioni creano i propri account Facebook per facilitare le comunicazioni e di questi tempi avere un profilo sulla piattaforma e diventato un requisito necessario soprattutto in ambito lavorativo. Tramite l’inserimento della data di nascita, questo social network ricorda persino i compleanni di tutti a tutti, permette inoltre agli amici di creare gruppi, come per esempio il gruppo di una classe, dove si possono scambiare opinioni, consigli e materiale scolastico. Questi sono solo alcuni dei molti lati positivi di Facebook, a cui tuttavia bisogna prestare attenzione. Sono frequenti, infatti, anche i casi di raggiri avvenuti su questo social network e ciò viene reso facile dal fatto che la maggior parte degli utenti è minorenne e molti hanno meno di 13 anni, violando i termini di servizio. Accanto a questi, però, si aggiunge un problema maggiore: i giovani, i così chiamati “nativi tecnologici”, sono maggiormente investiti da questa ondata tecnologica e social, tanto da portare a forti forme di dipendenza, che hanno fatto nascere un nuovo gruppo di patologie riconosciute dalla neuropsicologia: le cyber-dipendenze.
Sempre più giovani si approcciano a questo mondo perdendo il contatto con il mondo reale, cercando di imitare delle figure di riferimento, soffrendo di complessi di inferiorità vedendo un mondo sempre bello ed ovattato, così come postato sui social da coloro che, per vendere la loro immagine, si mostrano sempre in forma, ritoccati, agghindati, sorridenti, in posti paradisiaci, felici… Secondo alcuni psicologi tutto ciò ha una forte influenza negativa sulla psiche umana dei soggetti che aprono i social e vengono travolti da tutte queste immagini che vanno a scavare nel loro subconscio una sorta di latente depressione in risposta al messaggio “tutti riescono ad essere felici, perché io no?”. Proprio per questo motivo molti esperti consigliano di prendere le distanze da un uso eccessivo di tali mezzi, consigliandone un uso intelligente e moderato.
Come una qualsiasi dipendenza, però, non tutti i soggetti che ne fanno uso sono colpiti da essa e alla citata prima domanda alcuni rispondono in modo energico, trovando una via per essere loro stessi felici. La maggior parte delle volte, infatti, il reale problema non sono i social-network bensì il nostro approccio nell’utilizzarli e l’uso eccessivo. Ma passiamo ora ad analizzare la situazione nel piccolo, ovvero proprio come ognuno di noi si rapporta a questo strumento. Semplicemente, detto con sincerità, rinunciando a momenti di felicità personali, volendo mostrare al proprio pubblico quanto siamo felici, rinunciando probabilmente alla nostra stessa privacy in modo inconsapevole e con leggerezza. Quante persone pubblicano continuamente storie sulle proprie giornate, sulle proprie serate con video, selfie in discoteca o a cena con amici? Anche il sottoscritto non è esente da questo atteggiamento. Ma perché lo si fa? Secondo gli esperti, la motivazione è da ricollegare all’esigenza di mostrare agli altri la propria felicità ed il proprio benessere, come a volersi sponsorizzare. Ma, come detto prima, dov’è la tanto agognata privacy? Sembra che in maniera inconsapevole noi andiamo a regalare ai nostri osservatori, in maniera gratuita, una cosa che vale più dell’oro, i nostri dati, le nostre posizioni, i nostri gusti, le nostre idee. Il tutto viene poi utilizzato dalle grandi case per pubblicizzare e proporci ciò che noi stessi gli abbiamo suggerito, il tutto in un circolo vizioso infinito. Sul tema della rinuncia alla privacy, mi ha colpito il film “The Circle”, in cui la protagonista decide di testare un nuovo oggetto rivoluzionario della casa per cui lavora: una mini-videocamera social connessa 24 su 24 che la fa in breve tempo diventare l’eroina della gente. Nel tempo, però, scoprirà che tutto ciò comporta la perdita della propria vita privata, della propria intimità e quindi della propria identità. Proprio questo è il punto a cui si sta giungendo: una perdita della propria identità. Ci si omologa nel modo di vestirsi, nel modo di parlare, di atteggiarsi e così via. Una globale uniformazione che segue una moda ben precisa, momentanea ma volubile, come la rete. Infine bisogna fare un discorso sulle potenzialità stesse dei social, capaci di condurre sul patibolo o mettere sotto la luce dei riflettori le persone, in un certo senso cambiando l’esistenza di queste stesse e portandole anche a compiere gesti estremi. Come non ricordare il caso della ragazza suicidatasi per la divulgazione di foto private sul suo conto pochi mesi prima? Oppure del criminale rintracciato grazie a un annuncio online.
Purtroppo la perdita della privacy, il mettersi a nudo su questi social può esporre al pubblico la possibilità e il mezzo per deridere un individuo, anche in forma anonima: non tutti quelli che hanno accesso a questo mondo sono infatti dotati della necessaria sensibilità, maturità e capacità di rapportarsi col prossimo e possono generare, anche solo per scherzo e nemmeno rendendosi conto di ciò che fanno, un labirinto per queste “vittime del web”, da cui spesso è impossibile uscirne. Stiamo parlando dei cosiddetti “leoni da tastiera”: dietro ad un cellulare siamo tutti più forti, nessuno può controbattere e non abbiamo addosso lo sguardo di chi stiamo ferendo in quel momento. Sembra tutto più facile, e di conseguenza sembra tutto meno grave: insulti, tradimenti, parole, commenti. E invece non è così: c’è sempre chi dall’altro lato ci rimane male, chi non riesce a difendersi dalla marea di utenti che non risparmia parole crudeli nei confronti di chi spesso neanche conosce. E così, spesso, finisce in tragedia.
In conclusione, come tutte le cose è l’abuso di essi, è un uso sregolato e smodato dei social network, che sta portando ad una loro “estremizzazione”. Il mondo informatico rende possibile una quantità di cose fino agli anni Settanta non immaginabili: ha eliminato gli spazi, interconnesso persone e Paesi lontani, permettendo lo sviluppo della globalizzazione e la diffusione del sapere per via informatica in modo gratuito. I social stessi possono permettere la diffusione di notizie, l’archiviazione dei dati e un’infinità di soluzioni positive.
La domanda che sorge spontanea allora è: “i social sono uno strumento da eliminare?” Io credo di no. C’è bisogno, invece, di un attento uso e sviluppo. L’essere umano, per sua natura, tende ad estremizzare l’uso di strumenti rivoluzionari, inizialmente quasi affascinato dalle infinite nuove potenzialità che le sue stesse capacità possono dare alla luce. Inoltre un mondo senza i social non è più ipotizzabile ed indietro non si può più tornare, quindi possiamo solo continuare ad andare avanti, ma con molta cautela.
Santi Scarpaci
Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.