Bambini di Terezin: vite, famiglie, sogni distrutti…
Bambini Terezin: Il periodo più buio della storia racchiude molteplici racconti tragici, che l’uomo stesso ha scritto, storie in cui uomini hanno dato il peggio in nome di idee sbagliate, ma che hanno prodotto proseliti convinti di essere nel giusto e di operare in nome del bene comune. Nel secondo conflitto mondiale l’uomo è infatti sprofondato in baratro dal quale ha fatto fatica ad uscire e, nonostante tutto, pare che tenti ancora una volta di cadere in questo abisso vergognoso che tenta di offendere l’essere umano. La guerra ha distrutto famiglie, ha rovinato vite e polverizzato sogni con qualsiasi mezzo. Ma la storia più disumana e ingiusta ce la raccontano le mura del ghetto di Terezin.
Terezin era una città fortezza, di passaggio per gli ebrei, i quali venivano smistati per essere portati ad Auschwitz o a Treblinka, per l’ultimo viaggio della morte. Aveva la forma di una stella di Davide, simbolo degli ebrei, e ha ospitato anche grandi artisti come Hans Krasa, Gideon Klein, Rafael Schachter, Alice Herz-Sommer, Victor Ullmann, Martin Roman e Pavel Lipensky. La maggior parte di questi ebrei erano bambini, ai quali avevano ucciso i genitori. Erano ignari di ciò a cui andavano incontro, ma forse l’innocenza e il non sapere la destinazione finale ha fatto vivere loro un ultimo periodo di inconsapevole “serenità”. La libertà non è stata un’opzione per loro. Non potevano giocare a modo loro, non potevano uscire né mangiare ciò che volevano… perciò disegnavano: con una banale matita e un foglio di carta, raccontavano i loro più grandi desideri in disegni, bellissimi, inestimabili… Ad alcuni venivano affidati anche degli impegni inimmaginabili, come leggere il nome dei propri genitori su delle scatole contenenti i resti cremati. Dire disumano forse è poco…
La propaganda nazista aveva comunque regole e limiti, e si poteva mostrare solo ciò che voleva, qualunque cosa pur di non mettere in cattiva luce il governo o se stessi. Terezin fu quindi un luogo in cui la menzogna, la farsa teatrale, prese piede ovunque. Il mondo cominciava a sospettare di quel posto, si diceva che fosse tutta una copertura… e avevano ragione. Ma l’aberrazione non conosce limiti, così il governo nazista chiamò un famoso regista ebreo e gli ordinò di girare un filmato nel quale si vedeva che gli ospiti stavano bene, che i bambini erano felici e ben sistemati dalla testa ai piedi, mangiavano e conducevano una vita lontano dai problemi e dalla guerra, giocavano, correvano, erano sani e si divertivano. Il tutto contornato da una bellissima scenografia con fontane e giardini, per far vedere al mondo intero che i prigionieri venivano trattati bene. Stessa messinscena fu realizzata durante la visita dei delegati della Croce Rossa Internazionale invitati dai governi neutrali preoccupati per i propri cittadini. Quando finì tutto, però, dopo qualche settimana il regista, i figuranti e una gran parte dei bambini furono messi su un convoglio con destinazione Auschwitz per essere gasati e seppellire per sempre la verità.
Ecco, questa è la storia di chi non ha avuto la possibilità di crescere, di diventare adulto, e purtroppo tante storie simili sono venute alla luce dopo la fine della guerra. I superstiti hanno ancora negli occhi il terrore di quello che hanno vissuto.
Io mi domando, invece: come è possibile che tutti la pensassero allo stesso modo? L’uomo come può diventare una bestia? Non ho risposte perché credo che non ci possano essere delle risposte: la follia non ha una razionalità e in quel momento della storia l’essere umano si era allontanato da Dio.
Alla fine cosa cerca l’uomo se non la pace, la serenità? Perché è cosi difficile la pace, l’accettare l’altro, che sia ebreo, musulmano, cristiano? Pare che sia più facile essere in guerra ed ammazzare l’altro.
Noi nuove generazioni non abbiamo vissuto la guerra, ma i vecchi che l’hanno vissuta sanno cosa significa. A noi, speranza del futuro, spetta quindi un grande compito: quello di combattere contro ogni forma di intolleranza, di estremismo, perché il seme dell’odio è più facile che attecchisca, mentre lottare contro certi pregiudizi diventa un’impresa ardua. Ed è proprio questa la sfida…
Chiara Munafò
Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.