BIRRA MOLTO PIÙ CHE SEMPLICE BEVANDA, NETTARE DEGLI DEI
BIRRA: Il suo colore dorato, la sua fragranza pungente ed il suo sapore intenso ma non troppo impegnativo, la rendono la bevanda perfetta per accompagnare qualsiasi pasto, dalla cena in famiglia, fino all’aperitivo al bar con gli amici, nonché una gustosa prelibatezza da consumare anche da sola durante i caldi pomeriggi d’estate, magari seduti sotto un ombrellone a godere di un favoloso tramonto rosato i cui colori si riflettono sulle increspature dell’acqua scura. Avete indovinato, sto parlando proprio della birra, una delle bevande preferite di ragazzi ed adulti, nonché uno dei prodotti più consumati sul mercato alimentare.
A tutti è capitato di assaggiare la birra almeno una volta nella vita, ma ci siamo mai chiesti cosa possa nascondersi dietro quel frizzante liquido dorato dal peculiare sapore dolce amaro? Ebbene, la birra, con le sue note pungenti, rappresenta il risultato finale di un complesso e delicato meccanismo fermentativo in cui intervengono piccoli organismi chiamati lieviti, i quali, a partire da un mosto zuccherino preparato dall’unione del semplice malto d’orzo, con acqua ed essenze, trasformano gradualmente gli zuccheri in esso contenuti, in alcol e diossido di carbonio, conferendogli le caratteristiche chimico-fisiche che la contraddistinguono.
La produzione della birra è una tradizione che affonda le proprie radici nei primi anni del 2700 a.C., si ritiene infatti che la prima bevanda con caratteristiche simili alla birra attuale risalga addirittura all’età dei popoli mesopotamici. Sin da quel momento il processo fermentativo da cui la birra fu ricavata per la prima volta ha subito una lunga evoluzione ed un’ampia diffusione a livello mondiale fino a sfociare, dunque, nella classica bevanda che quotidianamente assaporiamo con piacere. In base al tipo di lavorazione, alla gradazione alcolica, al contenuto zuccherino e ad altri parametri come il tipo di acqua o la presenza o meno di altri cereali nella produzione, le birre assumono determinate caratteristiche che, chiaramente, cambiano al variare del paese di produzione e soprattutto delle materie prime impiegate.
Nel mondo vengono imbottigliati giornalmente milioni di litri di birra di ogni tipo, bionda o scura, con o senza filtrato, a doppia fermentazione, acolica o analcolica, con o senza glutine, ed anche noi, qui in Sicilia, abbiamo la nostra realtà produttiva di riferimento: il birrificio Messina.
Come dice lo stesso termine con il quale viene indicato il nostro indirizzo di studi, “chimica e biotecnologie”, il nucleo intorno cui ruota l’intero piano formativo scolastico, ed in particolare il programma del quinto anno, è costituito da argomenti funzionali a comprendere tutti quei processi chimici che congiunti alle scienze biologiche portano alla produzione di molecole particolari, la cui applicazione va a ricadere sui settori sanitari o alimentari. Nel campo delle biotecnologie va chiaramente incluso lo studio delle tecnologie alimentari, di conseguenza per comprendere meglio attraverso uno studio non solo limitato alla realtà scolastica ma aperto ad un apprendimento basato sull’osservazione e sull’esperienza pratica, la scuola ha offerto la possibilità ai propri studenti di visitare lo storico stabilimento produttivo della Birra Messina.
Dopo un’accurata visita dello stabilimento, diviso nei vari settori di macinazione, filtrazione e bollitura, fermentazione e maturazione, nonché del laboratorio di analisi chimiche e fisiche dell’industria, di ognuno dei quali è stata fatta una dettagliata presentazione, siamo stati introdotti alla storia che sta alla base di tale impianto.
Come spiega la responsabile del settore della comunicazione, nonché attiva giornalista, Francesca Stornante, la storia che è alle spalle di questa genuina realtà industriale è una storia di riscatto sociale, di un’imprenditoria che nasce dal basso in un momento in cui la città di Messina attraversava un periodo di crisi e di difficoltà generale, segnando una pagina importante del passato messinese e riuscendo ad attirare l’attenzione di tutta la nazione.
Questa grande avventura ebbe inizio circa 100 anni fa quando, nel 1923, all’interno degli stabilimenti della frazione messinese di Gazzi, la famiglia Faranda diede avvio alla produzione della famosa Birra Messina. La produzione registrò sin da subito un grande successo sul mercato e la Birra Messina divenne in breve tempo un marchio molto diffuso e riconosciuto a tutti gli effetti sia livello siciliano sia calabrese, nonché il simbolo caratteristico della città.
Dal 1923 fino ad oggi si sono successe diverse generazioni di mastri birrai, fra cui, dunque, rientrano tutti i lavoratori dello stabilimento attuale. Si tratta, pertanto, di una tradizione familiare, una professione che si costruisce nel tempo con sacrificio e costanza.
Intorno agli anni ottanta la multinazionale Heineken entrò all’interno del mercato messinese acquistando lo stabilimento della famiglia Faranda e prendendo il controllo della produzione della Birra Messina. Per un certo periodo l’attività industriale dello stabilimento rimase immutata; tuttavia, in seguito, la produzione venne gradualmente spostata dagli impianti siciliani ad altri del gruppo Heineken pur mantenendone etichetta e diciture storiche: lo stabilimento messinese conservò unicamente le funzioni di imbottigliamento e confezionamento del prodotto. In quegli anni Messina fu interessata da un significativo sviluppo urbano che impedì notevolmente lo svolgimento degli spostamenti logistici all’interno del centro cittadino. Fu così che nel 2007 la multinazionale decise di interrompere definitivamente l’attività produttiva dell’industria di Messina poiché fortemente ostacolata dai traffici urbani per cercare di delocalizzarla nel resto della provincia, ma senza successo. Lo stabilimento venne quindi rivenduto dalla multinazionale alla famiglia Faranda, tuttavia il marchio della Birra Messina faceva ormai parte della Heineken la cui produzione fu trasferita in Puglia, a Massafra, perdendo dunque la tutta sua originaria identità messinese.
Forte di questo nuovo acquisto la famiglia Faranda decise di tentare nuovamente il riavvio di una propria attività, scrivendo una nuova pagina industriale nella produzione della birra messinese. Dalle ceneri di una perdita, nacque così un nuovo marchio, la Triscele, che esordì per la prima volta nel mercato alimentare con due bevande: la “Birra del sole” e “Patruni e sutta”. Tuttavia a causa di alcune scelte imprenditoriali inadeguate e di obiettivi troppo elevati per poter essere raggiunti in breve tempo, la neonata ditta non riuscì a riscuotere lo stesso successo di un tempo. Le pesanti difficoltà economiche unite ad una serie di vicissitudini che lesero ulteriormente la delicata realtà produttiva della Triscele condussero in breve alla chiusura dello stabilimento ed al licenziamento dei 41 lavoratori impiegati sin dalla nascita del birrificio originario.
Nel 2011 comincia così una battaglia occupazionale e lavorativa, lunga ed estenuante. La famiglia si stabilisce, attrezzata con un semplice gazebo, fuori dai cancelli dello stabilimento per cercare di salvare gli impianti e la possibilità di produrre la birra, impedendo l’ingresso di altra gente, tentando in tutti i modi di fermare quel dramma economico che stava rapidamente demolendo la loro attività… perché quegli impianti rappresentavano la vita per loro. Passa più di un anno, la vita sotto al gazebo è dura: abbandonati sotto gli sguardi minacciosi delle nuvole grigie d’inverno e del sole cocente d’estate, giovani e adulti le cui speranze non si esaurirono mai, lottarono ogni giorno contro le difficoltà economiche e sociali, nel tentativo di attirare l’attenzione delle istituzioni, della politica o di imprenditori che volessero scommettere sulla loro industria per creare qualcosa di nuovo, ma senza ottenere successo alcuno.
Nel 2013, quando tutti gli ammortizzatori economici terminarono, quando anche l’ultima risorsa finanziaria li abbandonò, non tutti riuscirono ad andare avanti: la famiglia da sfamare, la casa da gestire, le risorse economiche perdute fecero sentire il loro peso sulla vita dei 41 lavoratori, il cui numero diminuì drasticamente. Rimasero solamente in 15. Furono questi ultimi a fondare la cooperativa “Birrificio Messina” lanciandosi in una vera e propria avventura, mettendo in gioco i propri immobili e i propri averi per vivere quasi nella miseria.
Erano anni in cui la disoccupazione era fortemente presente tra le mura messinesi, ma la loro caparbia voglia di rivalsa, il loro ostinato desiderio di rinascita fu in grado di accendere una luce di speranza nel cuore della gente di una città che anche dal punto di vista industriale stava gradualmente perdendo ogni respiro di vita, soffocata dal degrado. Iniziarono senza nulla da cui partire, senza un appezzamento di terreno, senza macchinari, senza fondi, ma con tanta professionalità e altrettanta determinazione. Due capannoni, somme racimolate con sudore e fatica durante i mesi e il caldo supporto morale, finanziario e professionale dei cittadini messinesi furono il loro punto di partenza: come dicono loro stessi “la birra ha il sapore dei sacrifici”, perché tutto quello che oggi ci è stato mostrato è il frutto di sangue e sudore di ognuno di loro.
Dopo tre anni di attività, tre anni di crescita segnati tuttavia da difficoltà burocratiche ed economiche, il 29 settembre del 2016, quel piccolo gruppo di 15 persone con quelle poche risorse che aveva a disposizione, portò a compimento un vero e proprio miracolo: l’imbottigliamento della prima birra. Nascono così le prime due etichette del Birrificio Messina, la “DOC 15”, dedicata a quel processo che ha trasformato la speranza in realtà, quel processo che ha permesso a quegli eroici 15 di divenire una piccola eccellenza del territorio messinese, e la “Birra dello Stretto”, dedicata invece a tutti coloro che sono stati solidali con loro, che hanno svolto un ruolo cruciale nella riuscita di quest’impresa. Dal 2016 ad oggi il lavoro non si è mai fermato: nascono continuamente nuove ricette, la “birra dello stretto premium”, la “birra dello stretto non filtrata”, la “DOC 15 cruda”, il mercato risponde bene riscuotendo successo anche a livello extra-siciliano se non addirittura europeo, ma soprattutto è tornato vivo quel senso di identità che la città aveva gradualmente perduto in passato. Nel marzo dello scorso anno torna a bussare alle porte del nuovo birrificio Messina la multinazionale Heineken con la proposta di creare un nuovo prodotto. Il frutto di questa collaborazione tra i mastri birrai del Birrificio Messina e della Heineken è la nuova birra “Cristalli di sale”, una birra non filtrata a cui viene aggiunta una piccola quantità di cristalli di sale marino di Trapani, per conferirgli un gusto morbido e rotondo, immessa sul mercato già a partire dall’inizio di quest’anno.
Arianna Torre