Il “caporalato” sfrutta la disperazione dei disoccupati
Caporalato: in questi tempi, soprattutto in Italia, paese in cui è molto alto il numero di disoccupati, vi sono persone che, per arricchirsi, se ne approfittano di soggetti più deboli, facendoli lavorare in condizioni estreme a un salario molto basso e senza assicurazioni.
Quando un uomo ti dice che è diventato ricco grazie al duro lavoro, chiedigli: Di chi?
Don Marquis
Spesso capita, quindi, di sentir parlare della morte di braccianti nel settore dell’agricoltura e edilizia a causa delle assenti norme di sicurezza e assistenza che compromettono la salute del lavoratore. Questo tipo di fenomeno, chiamato “caporalato”, si fonda sullo sfruttamento della manodopera a basso costo ed è molto diffuso in tutta la penisola italiana, concentrandosi soprattutto nell’Italia Meridionale, nelle regioni della Calabria, Campania e Puglia, ma non è assente neppure dalle regioni del Nord.
Questa pratica consiste in particolare nel reclutamento delle persone, da parte di un soggetto detto appunto “caporale”, che viene incaricato a quest’attività da parte del proprietario terriero, se riguarda – come la maggior parte delle situazioni – l’ambito dell’agricoltura in cui i controlli sono più difficili. Esso raccoglie quindi manodopera giornaliera per farla “lavorare in nero” e senza che le siano riconosciute le adeguate protezioni di sicurezza. Oltre a reclutare, il caporale spesso adesca e trasporta i braccianti nei vari campi agricoli alle prime luci dell’alba su mezzi di fortuna. Il prezzo che l’azienda paga al caporale è ovviamente molto diverso da quello che viene offerto al lavoratore sfruttato, che è di solito un extracomunitario o comunque appartenente alla fascia più debole della popolazione. A fine giornata, dopo aver lavorato interrottamente nei campi, spesso sotto il sole cocente, senza pause, acqua o qualcosa da mangiare, questi riceve in compenso 2-3 euro all’ora, a stento. E se un caporale decide di non pagarlo, non ha nessuna possibilità di protestare e avrà faticato inutilmente.
La pratica del caporalato è ovviamente vietata dalle leggi italiane, che la rendono un reato penale. Nonostante tutto, però, essa continua a verificarsi in tutta Italia e a mietere sempre più vittime. Lo si può considerare però realmente tale, cioè un reato, solo se si verificano determinate condizioni, quando cioè il lavoratore viene sottoposto a condizioni di lavoro molto degradanti, la retribuzione non è inserita in un regolare contratto e vi è una violazione delle norme di sicurezza, che in primo luogo non assicurano il bracciante. Questo, quindi, è il cosiddetto “lavoro in nero” che, essendo illegale, fa rischiare sia alle aziende che ai caporali la sospensione delle proprie attività, ma che costituisce una delle cause maggiori dell’evasione fiscale.
Si tratta, tuttavia, di una piaga della società difficile da sanare. Ciò perché, come prevede la Costituzione italiana, negli articoli 35 e 38 che tutelano sia il lavoro autonomo ma anche quello dipendente, ognuno di noi “ha diritto a un lavoro dignitoso, senza essere dunque sottoposto a nessun tipo di costrizione”, ma finché per molti il lavoro onesto resterà un miraggio e la disoccupazione un problema sociale, ci saranno sempre sfruttatori pronti ad approfittarsi di chi di quel lavoro ha veramente bisogno per mantenere dignitosamente la famiglia.
Ilenia Scarpaci
Classe III, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.