PREMIO NOBEL PER LA MEDICINA 2019 A TRE SCIENZIATI
NOBEL: Torna il tradizionale appuntamento, protagonista del mese di ottobre, in cui si verifica l’assegnazione degli attesissimi premi Nobel. Prima fra tutte presso il Karolinska Institutet di Stoccolma l’attribuzione del premi nel campo della Medicina e Fisiologia. Quest’anno il riconoscimento va a due scienziati americani e un britannico per lo studio e la scoperta del meccanismo molecolare che, all’interno delle cellule, regola l’attività dei geni in risposta al variare dei livelli di ossigeno.
Sir Peter J. Ratcliffe, 65 anni è nato in Gran Bretagna, specializzato in nefrologia e ad oggi membro dell’Istituto Ludwig per la ricerca sul cancro. L’americano Gregg L. Semenza, 63 anni nato a New York, ha studiato biologia, si è specializzato in pediatria e dal 2003 dirige il programma sulla ricerca vascolare. William G. Kaelin, 62 anni nato a New York dopo gli studi nelle Duke University si è specializzato in Medicina interna e oncologia.
La sensazionale scoperta, oggetto del fatidico premio, sarà utile nella svolta medica per la comprensione di molte malattie quali tumori e anemie. L’ossigeno è risaputo è l’elemento essenziali per la vita. A livello cellulare esso rappresenta il carburante che alimenta i mitocondri, piccoli organelli presenti all’interno delle cellule, siti principali delle reazioni chimiche aerobie che trasformano il cibo in energia con cui alimentare tutti i processi alla base del funzionamento del nostro organismo. Proprio per tale motivo tutte le cellule devono sempre essere a conoscenza della quantità di ossigeno che hanno a disposizione, in modo da regolare i propri processi metabolici e, in particolare la respirazione, in base alla presenza/assenza di questo elemento. Nel caso di ipossia le cellule devono infatti reagire per adattarsi all’improvvisa scarsità di ossigeno. Questa condizione può avvenire per cause ambientali o in caso di attività sportiva, le quali alterano le esigenze di ossigenazione dell’organismo. In questi casi l’organismo deve impegnarsi per aumentare la ventilazione e dunque aumentando gli atti respiratori anche la disponibilità di ossigeno. La scarsità di ossigeno può inoltre interessare solamente alcuni tessuti del nostro corpo. Può capitare per motivi fisiologici o patologici che venga bloccato l’apporto di sangue a un tessuto o a un gruppo di cellule. In questo caso, la risposta che viene messa in atto è ancora più complessa, e comprende fenomeni come l’angiogenesi, cioè la formazione di nuovi vasi sanguigni, l’infiammazione e alterazioni nel metabolismo cellulare tissutale. In entrambi i casi, alla base dei processi di adattamento vi sono modifiche nell’espressione genica nei riguardi dell’ossigeno. Si era già scoperto che esistono delle strutture specializzate, dette corpi caritodei, poste nei pressi delle arterie carotidi, responsabili del monitoraggio del livello di ossigeno presente nel sangue, e della segnalazione al cervello perché regoli il ritmo della respirazione. Negli anni ’80 inoltre gli scienziati scoprirono la presenza di una correlazione tra una delle reazioni del nostro organismo in caso di ipossia è un aumento dell’eritropoiesi, cioè della produzione di globuli rossi. A guidare questo processo sono l’ormone eritropoietina e il gene Epo che attiva e disattiva la sua produzione. Quel che però bloccava la ricerca era la spiegazione dei processi molecolari che spingono ad aumentare la secrezione di Epo negli organi preposti, ovvero i reni.
Lavorando nei laboratori della Johns Hopkins University, Gregg Semenza, utilizzando topi transgenici dimostrò che esistono specifiche porzioni di Dna situate nei pressi del gene Epo che reagiscono ai livelli di ossigeno disponibili nelle cellule e attivano la produzione dell’ormone in caso di ipossia, identificando il complesso proteico che si lega alle stesse e battezzandolo come Hif. Scoprì inoltre la sua composizione in due sub unità: Hif-1α, sensibile alla presenza di ossigeno, e Arent che non reagisce alla presenza di ossigeno. Negli stessi anni, anche Sir Peter John Ratcliffe iniziò ad interessarsi dell’eritropoietina in qualità specialista in nefrologia. Egli affermò il fatto che i meccanismi genetici che regolano l’attività del gene Epo non sono presenti solamente nei tessuti dei reni, ma in tutte le cellule dell’organismo dimostrando che si tratta di un meccanismo genetico responsabile di una vasta gamma di risposte alla mancanza di ossigeno oltre la produzione dell’ormone. A quel punto si conosceva il ruolo di Hif-1α nella regolazione della produzione di eritropoietina e si sapeva che la sua azione dipende dalla concentrazione in cui è presente all’interno della cellula. In condizioni normali, difatti, una proteina nota come ubiquitina si lega a Hif-1α e segnala alla cellula che questo complesso deve essere eliminato. Quando invece la cellula si trova in condizioni di ipossia, l’ubiquitina non si lega a Hif-1α, i livelli di questo aumentano e la cellula produce più eritropoietina del dovuto. Quel che ancora non si conosceva era il meccanismo con cui l’ubiquitina si lega, o meno, a Hif-1α, e come questo potesse dipendere dai livelli di ossigeno. Nel mentre, William Kaelin si impegnò nello studio della sindrome di Von Hippel-Lindau, una malattia ereditaria causa dell’aumento del rischio nello sviluppo di alcune forme di tumore. Egli riuscì a dimostrare che il gene che risulta compromesso nei pazienti che ne soffrono, conosciuto come gene Vhl, ha un’azione protettiva nei confronti dei tumori e che la presenza di una sua versione compromessa è collegata a un aumento dell’attività dei geni che normalmente vengono trascritti quando le cellule si trovano in condizioni di ipossia. Ne consegue che Vhl doveva quindi essere collegato ai meccanismi che regolano la risposta cellulare all’ossigeno. Più tardi Kaelin e Ratcliffe scoprono che in condizioni di ossigenazione normale alcuni gruppi chimici conosciuti come idrossile vengono collegati a due porzioni di HIF-1α e questa modifica permette a Vhl di riconoscerlo, legarvisi e dare il via alla sua degradazione grazie al contributo di un enzima noto come prolina idrossilasi che, per funzionare, ha bisogno di ossigeno.
Le ricerche dei tre nuovi premi Nobel hanno quindi permesso di comprendere appieno i meccanismi con cui le cellule individuano la presenza o assenza di ossigeno, e danno il via a fenomeni come la produzione di nuovi vasi sanguigni e di globuli rossi, importanti fattori nello sviluppo di tumori irrorati da questi ultimi e rappresentano quindi un importante bersaglio che in futuro potrebbe portare allo sviluppo di nuovi farmaci antitumorali.
Enora Sophie Mazzeo V C BS