Camilleri, omaggio al maestro: papà del commissario Montalbano
Andrea Camilleri è deceduto all’ospedale Santo Spirito di Roma dove era da tempo ricoverato. 93 anni, i suoi libri un fenomeno da 31 milioni di copie
Amo la Sicilia e la sicilianità. Amo la mia terra e chi l’ha resa grande: da Verga a Capuana, da Pirandello a Sciascia sin ad arrivare a Camilleri, il prolifico autore scomparso oggi, mercoledì 17 luglio 2019.
Ricordo di aver provato un piacevole sussulto nell’ascoltare la definizione data da Camilleri del nostro popolo: “Siamo il frutto gloriosamente bastardo di tredici dominazioni, dalle quali abbiamo preso il meglio e il peggio” ed io, orgogliosamente, mi ci sono ritrovata con tutta me stessa, con le mie certezze e le mie contraddizioni, col mio essere difficilmente comprensibile e facilmente comprensibile!
Ho amato sin da subito lo stile, l’energia e “l’arte” del maestro di Porto Empedocle a cui mi sono accostata dapprima in modo casuale per poi diventare un’accanita e sistematica lettrice dei suoi libri.
Scrittore, sceneggiatore, regista, drammaturgo e insegnante presso l’Accademia nazionale d’arte drammatica, Andrea Camilleri si è occupato, come delegato alla produzione Rai, di molti sceneggiati di grande successo fino a quando, alla fine degli anni ’70, esordì nella narrativa, diventando un autore di grande successo.
Il grande successo è, però, arrivato con l’invenzione del personaggio del commissario Montalbano, protagonista di romanzi che non abbandonano mai le ambientazioni e le atmosfere siciliane. Nati da studi personali sulla storia dell’isola, Camilleri è riuscito, infatti, a dare prova di una straordinaria capacità inventiva, calando i suoi personaggi in un ambiente totalmente inventato e nello stesso tempo realistico e creando dal nulla anche un nuovo linguaggio, una nuova “lingua”, derivata dal dialetto siciliano.
La particolarità del linguaggio di Camilleri è legata ad un episodio della biografia dello scrittore: assistendo in ospedale suo padre morente, volle raccontargli una storiache avrebbe voluto pubblicare ma che non era capace di comporre in italiano: fu suo padre a suggerirgli di scriverla come gliel’aveva raccontata.
Ovviamente, per essere compreso da tutti non poteva esprimersi completamente in siciliano, pertanto decise di adottare un linguaggio equilibrato in cui i termini dialettali avessero la stessa qualità e significato, la stessa risonanza di quelli italiani. Fu un duro lavoro di elaborazione, ad esempio nei romanzi scritti in vigatese, dove la base del lavoro è sempre una iniziale struttura in lingua italiana, con cui mescolare i termini tratti non dalla letteratura alta ma dai vari dialetti siciliani comunemente parlati.
“… Non si tratta di incastonare parole in dialetto all’interno di frasi strutturalmente italiane, quanto piuttosto di seguire il flusso di un suono, componendo una sorta di partitura che invece delle note adopera il suono delle parole. Per arrivare ad un impasto unico, dove non si riconosce più il lavoro strutturale che c’è dietro. Il risultato deve avere la consistenza della farina lievitata e pronta a diventare pane.”
Ma perché amo Camilleri? Beh, trovo più semplice rispondere con le sue parole “l’impegno sta nella scrittura stessa, nell’onestà alla quale ci si deve attenere nel momento in cui si mette mano alla pagina. La dimensione civile scaturisce da qui e può assumere forme diverse: il tentativo di interpretare l’eterna complessità italiana nei romanzi storici, l’intervento sulla cronaca in alcuni articoli che mi sento di scrivere anzitutto più come cittadino che come romanziere”.
Mi mancherà la sua voce roca, la sua ironia, la sua leggerezza e la sua arte, così affabulatoria ma al contempo potente e vibrante nel saper declinare senza manierismo il fascino e la magia della mia terra!
Franca Genovese