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Messina e il suo stretto un alone di mistero tra miti e leggende

Messina e il suo stretto: Con la sua ricca storia, pur considerata città “nuova” a seguito delle sue molteplici ricostruzioni, vanta uno scenario mitico da non sottovalutare né dimenticare. Le culture succedutesi nei secoli, le tradizioni di popoli come i Greci, Romani, Arabi, Normanni e Spagnoli hanno lasciato infatti profonde tracce che ne hanno aumentato il fascino e, unendo sacro e profano, realtà e immaginazione, hanno regalato una vastità di miti e leggende che hanno a lungo avvolto la città in un alone di mistero.

Protagonista è soprattutto il mare ed ecco perché, se si vuole raccontare la storia di Messina, si deve innanzitutto partire dal suo mare, quel breve braccio d’acqua che la separa dal resto della penisola. Quel mare che, nel corso dei secoli, è stato la sua linfa inesauribile e vitale risorsa per i pescatori, punto di riferimento per i mercanti poichè dal mare provenivano le sue ricchezze e gran parte del suo potere e della sua importanza. Eppure nei tempi più antichi, quando il mistero del mito aleggiava su di esso, lo Stretto di Messina era considerato un mare tutt’altro che ospitale per i naviganti, anzi attraversare le sue acque significava affrontare la morte. Proprio le sue bizzarre correnti erano infatti sovente causa di naufragi e disastri.

La sua storia misteriosa ispirò tra gli altri il mito omerico di Scilla e Cariddi, due orrendi mostri marini che ne infestavano le coste e distruggevano le navi dei marinai. La leggenda narra che Scilla fosse una splendida ninfa, figlia di Forco e Crataide. Trascorreva i suoi giorni nel mare, giocando con le altre ninfe e rifiutava tutti i pretendenti. Quando il dio Glauco si innamorò di lei, andò dalla maga Circe a chiedere un filtro d’amore, ma Circe, affascinata dalla sua bellezza, si rifiutò di aiutarlo perché lo voleva per sé. Tuttavia Glauco non aveva occhi che per la sua Scilla. Logorata dalla gelosia, la maga trasformò allora la rivale in un mostro con dodici artigli e sei teste, nelle cui bocche spuntavano tre file di denti; intorno alla vita aveva appese teste di cani che abbaiavano e ringhiavano ferocemente. Scilla era immortale e, per vergogna, si nascondeva in una spelonca dello stretto di Messina, dal lato opposto a quello di Cariddi, e quando i naviganti si avvicinavano, incattivita dall’ingiustizia subita, con le sue bocche li divorava. Venne infine trasformata in roccia, e in questa forma la trovò Enea passando dallo stretto. Di Cariddi invece si narra che vivesse in un mitico gorgo dell’estremità settentrionale dello stretto di Messina. Descritto come un mostro figlio di Poseidone e di Gea, succhiava l’acqua del mare e la risputava tre volte al giorno con tale violenza da far naufragare le navi di passaggio. Odisseo, dovendo passare necessariamente tra i due mostri, preferì avvicinarsi a Scilla poichè Cariddi avrebbe portato sicuramente la distruzione delle sue navi. Più tardi, dopo che i suoi uomini erano stati uccisi da Zeus per aver catturato gli armenti di Elio, la nave di Odisseo venne attratta dal gorgo di Cariddi e l’eroe sopravvisse soltanto perché riuscì ad aggrapparsi ad un fico che sbucava dall’acqua. Quando, ore dopo, ricomparve la nave, egli si aggrappò ad un albero riemerso ed ebbe salva la vita. L’ira di questi due mostri era motivo di terrore e sconforto da parte degli abitanti sia della Sicilia che della Calabria, poiché nessuno riusciva a sconfiggerli e solo l’intervento del Dio Nettuno pose fine a questo dramma incatenandoli e sottomettendoli, così come si narra e come si può constatare ammirando la maestosa opera della “Fontana del Nettuno” del Montorsoli, oggi collocata in Piazza Unità d’Italia proprio di fronte al Palazzo della Prefettura di Messina.

Essa simboleggia il dio del mare che, per calmare le movimentate acque dello Stretto, provocate dai mostri Scilla e Cariddi, tiene questi ultimi in catene. Anticamente la fontana era posizionata a ridosso del porto, dove vi era il mercato del pesce e degli ortaggi, fuori dalle mura che cingevano il mare. Miracolosamente scampata alla furia distruttiva del terremoto del 1908, essa fu trasferita nel 1934 in Piazza Unità d’Italia, dove si trova attualmente e da dove si gode di una splendida vista sullo Stretto. In origine, inoltre, la statua di Nettuno era rivolta con lo sguardo verso la città come se, dopo aver sconfitto i due mostri, egli offrisse ad essa i benefici del mare. La sua collocazione adesso è invece verso il mare. Riguardo a ciò, una leggenda popolare narra che la posizione iniziale della fontana nascesse dalla volontà di beffeggiare i cittadini calabresi. Secondo tale racconto, infatti, la statua in origine non raffigurava Nettuno ma un pescatore gigante, “lu Gialanti pisci”, che per scommessa con alcuni pescatori calabresi aveva deciso di catturare Scilla e Cariddi, due splendide sirene che però, con il loro bellissimo canto, addormentavano i marinai facendo affondare le navi. Quando l’astuto pescatore riuscì in quell’impresa che per i calabresi era impossibile, poggiando le mani sul suo fondo schiena e girando con un balzo le spalle verso l’altra riva dello stretto, pronunciò contro i rivali una frase burlesca e offensiva. La statua che i messinesi gli dedicarono, dunque, aveva la parte posteriore del corpo rivolto verso la Calabria per sbeffeggiare gli eterni antagonisti sull’altra sponda dello Stretto. Naturalmente la leggenda rimane leggenda e il gigante pescatore è oggi per tutti un bellissimo e austero Nettuno che con fiero sguardo e rassicurante imponenza, protegge la città di Messina e i messinesi. Ma come è bello lasciarsi trascinare dai miti nati intorno a un luogo affascinante!

Santi Scarpaci

Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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