Genocidio nel cuore dell’Europa: le guerre Jugoslave
Genocidio ex Jugoslavia: “Tutto questo finirà un giorno? Finiranno le nostre sofferenze così che i miei genitori possano tornare quelli di una volta: pieni di vita, sorridenti, eleganti? Questa stupida guerra sta distruggendo la mia infanzia, sta rovinando la vita dei miei genitori. PERCHÉ? FERMATE LA GUERRA! PACE! HO BISOGNO DI PACE!” Queste sono le riflessioni, le paure, ciò che sentiva Zlata Filipovic, che a soli 11 anni, è costretta a vivere l’inferno di Sarajevo, in quegli anni dominati dall’odio, dalla disperazione, dalla paura e dalla morte. E lo racconta a Mimmy, il suo diario, insieme all’esplodere delle granate, alle raffiche dei cecchini e agli amici uccisi. Zlata, soprannominata l’Anna Frank di Sarajevo, scrive per dar voce “ai tremila bambini morti sotto le bombe, agli invalidi che s’incontrano per le strade privi di un braccio o di una gamba”.
L’assedio durò quattro anni, ed è diventato il simbolo più tetro e disumano di una guerra figlia della guerra. Per le strade predominavano le macerie divelte e carbonizzate dalle esplosioni, tra una rovina e l’altra figure umani spettrali, sotto il tiro di cecchini fantasma, che per un pezzo di pane si giocavano la vita come alla roulette russa.
Ma come siamo arrivati a tutta questa indescrivibile sofferenza? Dopo l’orrore della shoah, la comunità internazionale giura solennemente che un genocidio simile mai si sarebbe dovuto ripetere. Ma non fu così. Alla fine del XX secolo l’odio che dilagava tra i paesi dell’ex Jugoslavia ha portato, ancora una volta, al genocidio. Nella guerra dei Balcani degli anni Novanta, i Leader dei differenti gruppi etnici, per sostenere il nuovo nazionalismo evocano i massacri del passato, per convincere l’Europa e tutto il mondo che serbi, croati e musulmani non hanno fatto altro che uccidersi a vicenda da tempo immemorabile.
Ma la verità non è questa. Durante il corso della loro storia, le varie etnie sono state tenute a distanza in Imperi e Stati differenti, proprio secondo il famoso principio “Dividi et impera”. Nel 1941, durante la seconda guerra mondiale, la Germania invade la Jugoslavia; in Croazia e in Bosnia Erzegovina viene istituto un governo fantoccio, controllato dagli ustascia fascisti, che hanno l’intenzione di formare una Croazia composta da soli croati. A tale scopo inizia lo sterminio dei serbi e di altri gruppi come zingari e ebrei. Il progetto degli ustascia prevedeva che un terzo dei serbi venisse eliminato, un terzo ucciso e un terzo obbligato a convertirsi al cattolicesimo. Al termine della guerra serbi, croati e musulmani vivono in un unico Stato sotto il pugno di ferro del regime comunista di Tito, che cerca di stroncare sul nascere qualsiasi forma di odio e di rancore tra le varie etnie. Una relativa pace, per il momento, regna tra serbi, croati e musulmani. Ma quando Tito muore, nel 1980, vengono a galla tutti i ricordi e i dolori del passato, tutt’altro che sopiti.
Ad alimentare quest’odio c’erano i leader dei vai gruppi etnici, che continuavano a scontrarsi facendo riaffiorare le vecchie amare memorie. La situazione degenera quando si compie l’ascesa al potere di Slobodan Milosevic: essa, infatti, è come benzina buttata sul fuoco del reciproco odio etnico. Milosevic è a capo della Serbia e, mentre la Jugoslavia si frantuma, si insedia una pericolosa anarchia, causata da una grave crisi economica. Milosevic mette in atto la sua missione propagandistica, affermando che “i serbi sono le vittime nelle mani assassine dei croati e dei musulmani”. E in questo modo, colui che era stato vittima, ora è il carnefice. Fa appello alla paranoia serba e gioca sulle paure delle persone, affermando che: “voi serbi di Croazia siete in pericolo, i croati vi massacreranno, vi sgozzeranno di notte. L’unico modo per essere al sicuro è quello di unirvi a noi nella futura grande Serbia”.
Infatti, all’inizio degli anni Novanta, la Jugoslavia comincia a disintegrarsi. I vari Stati fino a quel momento tenuti insieme da Tito reclamano la loro indipendenza. La prima a dichiararsi uno Stato indipendente è la Slovenia, seguita dalla Croazia. Intanto, nel giro di poche settimane dall’inizio della guerra, cominciano i massacri. La città di Vukovar, al confine tra Croazia e Serbia, viene bombardata. Dopo pochi mesi, il 18 novembre 1991 cade nelle mani dei serbi. È qui che prende vita il genocidio. L’ospedale locale viene razziato dai serbi e i pazienti costretti ad uscire e depositati su grandi camion, per essere trasportati al vicino villaggio di Ovcara, dove più o meno 200 verranno trucidati e sepolti in fosse comuni. Poco tempo dopo il massacro, anche la Bosnia Erzegovina proclama la propria indipendenza. Quando serbi, croati e musulmani cominciano ad uccidere le minoranze all’interno delle loro enclave ha inizio una tragedia ancora peggiore. Il problema era che le minoranze e le maggioranze erano numericamente equilibrate, e divenne dunque legittimo domandarsi a chi appartenesse lo Stato. L’esempio più drammatico dalla seconda guerra mondiale fino ad oggi è la Bosnia. I bosniaci avevano una maggioranza ridotta, tra il 45 e il 55% della popolazione. I serbi, invece, con il 30% erano una minoranza, insieme al restante 20% croato. Nessuno ha in questo modo una maggioranza schiacciante, così è divenuto impossibile formare uno stato multietnico con delle fondamenta stabili. I musulmani, nel 1991, hanno affermato che la Bosnia non fosse uno Stato musulmano, ma per tutte le etnie bosniache. Ma i croati e i serbi non ci hanno mai creduto. Nell’istante in cui si è creato lo Stato, hanno cominciato ad allontanarsene, perlomeno mentalmente, loro volevano uno Stato con un’etnia completamente serba, o croata, e per tale ragione volevano espellere ogni musulmano che occupasse il territorio. E lo hanno fatto, la loro famosa voglia di “pulizia etnica” è stata soddisfatta con lo sterminio. I serbi pensavano che i musulmani avessero ucciso bambini cristiani per il solo piacere di farlo, ma ovviamente, molti dei timori erano privi di fondamenta, e certamente alimentati da Milosevic, che ricorda ai serbi i massacri compiuti in Kosovo, facendo riferimento a fantasmagorici genocidi avvenuti 600 anni prima. Naturalmente la propaganda si diffondeva velocemente, influenzando l’opinione pubblica. Tutto ciò al solo scopo di preparare il popolo ai veri massacri e, in qualche modo, anche a giustificarli. Anche il proselitismo genera l’odio, e la guerra dei Balcani verrà per sempre ricordata per la sua crudeltà e disumanità. Il concetto di purezza della razza, le cui conseguenze sono state scoperte dall’Europa durante l’orrore della Shoah, torna allo stesso modo a sconvolgere il continente. I volti emblematici dei musulmani al di là del filo spinato ricordano fin troppo lo sterminio degli ebrei. I campi di concentramento erano veramente ricomparsi in Europa? A cinquant’anni dal tentativo di soluzione finale messo in atto da Hitler, le immagini e il frasario dell’olocausto irrompono nuovamente nelle case di tutto il mondo. E poi Srebrenica. L’11 luglio 1995 Ratko Mladic e il suo esercito serbo bosniaco entrano in città. I soldati separano gli uomini da donne e bambini.
Nel giro di soli tre giorni si attua il genocidio la popolazione maschile della città ed altre 8000 persone vengono giustiziate e sepolte in fosse comuni. Nel settembre 1995 la pace arrivò anche per l’intervento diretto degli Stati Uniti, con raid aerei contro le postazioni che occupavano Sarajevo. Gli accordi, sigillati tra il 22 novembre e il 15 dicembre 1995, posero fine al massacro in Bosnia Erzegovina. Essi, basati sul rispetto e la pace tra diverse etnie, sancirono la nascita di una nuova Bosnia, in cui i territori erano però spartiti secondo i principi ispiratori della guerra: esistono una Repubblica Serba e una Federazione Croato-Bosniaca, divisa in dieci cantoni, abitati in parte da croati e in parte da musulmani; solo in un cantone si ha popolazione “veramente” mista. Negli anni Novanta è stato istituito il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, voluto dall’ONU. Molti protagonisti del genocidio sono stati processati.
Tra il 2016 e il 2017 Radovan Karadžić e Ratko Mladić, rispettivamente l’ideologo e il braccio esecutore del genocidio sulla popolazione bosniaco-musulmana, sono stati condannati dal Tribunale. Il primo a 40 anni di carcere, il secondo al carcere a vita per l’efferatezza criminale durante i tre anni e mezzo dell’assedio di Sarajevo e per la strage di Srebrenica. Ma dentro lo Stato ci sono ancora ondate di nazionalismo, frutto di una guerra con radici molto profonde.
Nei paesi dell’Occidente, molti considerano spesso i Balcani come parte di un mondo primitivo, ed è questa la ragione per cui qual conflitto è stato quasi spazzato via dalla memoria pubblica. Ma esso è più vicino di quanto noi pensiamo. Ed è bene ricordare quanto sia facile manipolare le opinioni delle persone in nome del nazionalismo e della religione, creando violenza, pregiudizi e odio. Provate a sentirla, la puzza di morte che c’era a Srebrenica, quel caldo giorno di luglio che ha scritto una delle pagine più drammatiche della storia. Sì, nell’aria si sente ancora l’odore di genocidio.
Martina Crisicelli
Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.