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INTERVISTA A LIA LEVI, OSPITE DELL’I.C. FOSCOLO

INTERVISTA A LIA LEVI, OSPITE DELL’I.C. FOSCOLO

“Lia, tu non sei una bambina ebrea. Sei una bambina, una bambina e basta.”

Queste le parole pronunciate da Lia Levi, nota autrice, giornalista e sceneggiatrice, ma anche eterna “bambina e basta” sopravvissuta all’orrore della Shoah. Nata a Pisa nel 1931, si trasferì dapprima a Torino e successivamente a Roma. Gli anni della sua infanzia furono particolarmente difficili, profondamente segnati dalle sofferenze dell’odio antisemita. Il 1938, anno in cui vennero emanate in Italia le crudeli leggi razziali contro gli ebrei, rappresentò poi un grande cambiamento nella vita dell’autrice, poiché diedero il via ai rastrellamenti e alle persecuzioni. La piccola Lia tuttavia riuscì a salvarsi, nascondendosi nel convento romano di San Giuseppe di Chambery. Durante la sua vita ha intrapreso molte carriere e si è fatta spazio in vari campi. Attraverso la scrittura, ha raccontato la sua infanzia scrivendo il romanzo autobiografico “Una bambina e basta”, che narra i momenti salienti della sua storia personale dal punto di vista della bambina che era e che tutti noi possiamo conoscere sfogliando le pagine del libro. Ha condotto inoltre per 30 anni il mensile “Shalom”, svolgendo brillantemente anche la carriera giornalistica. Vincitrice del premio “Strega Giovani” nel 2018, la signora Levi gira l’Italia rilasciando interviste a giornali e televisioni nazionali. Questa volta, però, a intervistarla sono state due alunne del laboratorio di giornalismo dell’Istituto Comprensivo “Foscolo” di Barcellona Pozzo di Gotto, Martina Crisicelli e Rita Chiara Scarpaci, che hanno avuto il grande piacere ed onore di conoscerla in occasione dell’incontro, organizzato dalla loro scuola secondaria di primo grado e tenutosi presso la “Bibliotec@Arcobaleno” del Museo didattico martedì 28 maggio 2019. Ecco la speciale intervista che la celebre scrittrice ha rilasciato alle giovani giornaliste.

Signora Levi, i primi anni della sua vita non sono stati sicuramente facili ma, nonostante tutto, come definirebbe la sua infanzia? Cosa ha provato quando ha scoperto che erano state emanate le leggi razziali e che non sarebbe stata più “una bambina come le altre”?

La definirei interessante, sotto due differenti punti di vista: positivo e negativo. Interessante positivamente perché c’era la fantasia, la forza che devi tirar fuori per sopravvivere. In questo modo hai sempre energia vitale. Interessante invece col suo risvolto negativo: ci son stati sì grandi eventi ma tutti, appunto, all’insegna della negatività. Avendole vissute da bambina, per quanto gravissime, non sono mai venuta realmente a conoscenza di quanto fossero terribili, perché sono state filtrate dalla mia famiglia. Mi sono state mostrate come semplici cambiamenti di vita che in tutti i modi io accettavo. Il periodo che mi ha invece sconvolto è stato il periodo finale, durante la caccia all’ebreo, quando si trattava di salvarsi la vita e naturalmente tutte noi eravamo a conoscenza di quello che stava succedendo.

INTERVISTA A LIA LEVI, OSPITE DELL’I.C. FOSCOLO

Lei adesso è una scrittrice di successo, ma ricorda il momento in cui ha capito che scrivere sarebbe stato il suo futuro?

Sin da piccola avevo capito che questo sarebbe stato il mio futuro, lo sentivo come una cosa molto importante, già dall’infanzia, tanto è vero che mentre ero immersa nei libri che leggevo, avevo già deciso di far parte di questo mondo dei libri scrivendo. Poi la vita, naturalmente, ti porta ad altre circostanze, però io sapevo già allora che sarebbe stato parte integrante del mio futuro.”

Lei è stata la fondatrice del giornale “Shalom” che ha diretto per 30 anni. Come definirebbe questa esperienza?

“È stata un’esperienza interessante e creativa, perché è un lavoro che si fa in mezzo alla gente, con una redazione con cui confrontarsi. Però quando ho iniziato a fare la scrittrice ho capito che non era il mio lavoro, che il mio futuro era scrivere. Meglio tardi che mai!”

INTERVISTA A LIA LEVI, OSPITE DELL’I.C. FOSCOLO

“Una bambina e basta” nasce come libro per adulti, tuttavia oggi è diventata una lettura di riferimento per i ragazzi in moltissime scuole italiane. Cosa lo rende così speciale rispetto a tanti altri libri che trattano delle persecuzioni razziali della seconda guerra mondiale?

Ovviamente non sta a me fare i complimenti al mio libro e dire perché è speciale: spetterebbe ai lettori che lo apprezzano. Posso dire che, quando si cerca un libro sul tema, è un testo che parla di una sofferenza però relativa, è la storia di una bambina che è scampata al genocidio, e quindi ha un tono leggero ed il dramma viene sempre prospettato senza mai comparire in diretta se non in qualche episodio. È anche un libro di piccolo formato, quindi accessibile ai ragazzi, e questo ha sicuramente influito.

Come riesce ad alternare libri di fantasia per i ragazzi a libri per adulti che trattano temi più impegnativi e seri?

Ci riesco perché ho bisogno, dopo aver scritto un libro per il quale mi sono impegnata molto sul tema, prima di realizzarne un altro dello stesso genere, per il quale ho bisogno di assimilare dentro di me e di formulare nuove idee, di intervallare con un libro per ragazzi. Sarebbe il mio “riposo”, anche se così potrebbe sembrare che tu lo scriva “con la mano sinistra”. Non è così, ma ti immergi in un mondo più semplice, più divertente, più leggero.

Dopo tutto quel tempo di lontananza, com’è stato riunirsi con suo padre? Potrebbe descriverci le sue emozioni?

Anche se ho visto mio padre solamente nel momento della conversione, avevo sempre notizie di lui, perché telefonava quasi tutti i giorni a mia madre, che poi raccontava tutto a noi.  Durante il ritorno a casa non mi sono potuta concentrare solo su una delle tante sensazioni. Come tutte le cose che uno ha sognato tanto, dopo il ritorno la casa mi è sembrata molto piccola e brutta, a differenza del convento che era grandissimo. Abbiamo affrontato i problemi pratici, come la mancanza di acqua, la luce, il cibo, collaborando insieme.

Giornalista, sceneggiatrice e scrittrice, una carriera a tutto tondo. Quale di queste tre professioni la appassiona di più e perché?

La giornalista l’ho fatta volentieri, però non era il mio lavoro, perché il giornalismo si basa sulla rapidità – appena arriva una notizia devi scriverla subito – invece io nella scrittura sono per i tempi lunghi, poi mi piace cercare la parola. La giornalista è stata di certo un’esperienza di vita interessante; la sceneggiatrice un intervallo, erano dei testi scritti da me per la radio, era come una prova tecnica, per vedere se sapevo inventare. Il mio lavoro è fare la scrittrice, è quello che mi salva.

Al termine dell’intervista, le ragazze, onorate di averla conosciuta meglio, hanno ringraziato l’autrice per la disponibilità. La signora Levi, a sua volta, si è dimostrata entusiasta di aver condiviso con i piccoli giornalisti in erba la sua significativa storia e i suoi pensieri. Perché, come ha affermato in un’altra intervista, “io scrivo per non fare dimenticare”. No, noi non dimentichiamo e siamo veramente lieti e felici di averla conosciuta e di poter condividere con tutti i nostri lettori ciò che ci ha raccontato.

Martina Crisicelli e Rita Chiara Scarpaci

Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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