Afghanistan, una sofferenza interminabile
Spesso non ci chiediamo cos’è che succede negli altri paesi, o meglio ce lo chiediamo ma facciamo finta di non sapere. Oltre all’Afghanistan ci sono numerosi altri luoghi in guerra, in cui la gente vive in condizioni che vanno ben al di fuori dell’immaginazione, persone che lottano senza armi, che meritano di essere ricordate. Il 2019 è però lo spiacevole anniversario dei 40 anni di guerra in Afghanistan, anni terribili che hanno devastato un paese in antichità conosciuto come luogo inattaccabile, anche se inospitale. Esso comincia ad avere i primi conflitti dopo l’esilio degli oppositori islamici, con la dichiarazione della repubblica.
Questo conflitto è oggi in particolare provocato dagli scontri tra talebani, gruppo integralista islamico al potere fino al 2001, e l’ISIS, ovvero il recente Califfato, ossia l’organizzazione jihadista che cerca di farsi spazio in tutti i paesi islamici.
La guerra vera e propria iniziò però nel 1979, con l’invasione del paese da parte della Russia, che voleva imporre un governo di stampo comunista sotto il suo controllo, occupazione durata quasi dieci anni ma che in realtà non si concluse in modo definitivo perché contro i russi reagirono tutte le forze ribelli con una guerra civile che vide da una parte gli oppositori della repubblica democratica e i sostenitori dell’indipendenza e i gruppi religiosi islamici. Tra questi una figura che raccolse molti seguaci fu quella di Mohammed Omar, che insieme ai suoi “studenti” lanciò un’offensiva alle forze governative, ritenendo che la guerra religiosa fosse l’unico modo per stabilire la pace e rifiutando ogni tipo di proposta di tregua del governo. Portando avanti questa campagna, i talebani fecero numerosi attentati omicidi e suicidi in attesa che il governo cedesse.
Nel 2001, poi, il paese venne catapultato davanti ad una nuova guerra, da cui in realtà non sta uscendo più. Il 22 settembre di quell’anno, infatti, il presidente americano Bush, ancora scosso davanti all’attentato alle Twin Towers a New York e ritenendo l’Afghanistan talebano sostenitore del capo di Al-Qaida Osama Bin Laden, fece delle richieste ai talebani, fra cui la chiusura dei campi terroristici.
Tale richiesta venne respinta. I talebani però fecero numerose offerte agli USA, da cui aveva ricevuto sostegno in armi e risorse durante la guerra contro l’occupazione russa, ma vennero ritenute false e insignificanti e il paese fu attaccato. Il regime talebano fu abbattuto e nacque un governo democratico però molto debole, in quanto i gruppi talebani si rifugiarono nel sud del paese, al confine con il Pakistan, in territori molto impervi dove è facile nascondersi e continuare la guerriglia.
L’Afghanistan, del resto, è un paese afflitto da povertà, manca il lavoro e c’è una scarsissima alimentazione, molte persone sono senza casa e le conseguenze dei lunghi anni di guerra hanno impoverito le poche campagne e privato la popolazione di che vivere. Negli ultimi anni il conflitto interno si è ulteriormente allargato a macchia d’olio. Circa un quarto della popolazione ha bisogno di aiuto, ma purtroppo, nonostante l’impegno delle società volontarie, solo la metà lo riceve. In questo contesto è molto diffuso anche lo sfruttamento minorile, che a volte avviene anche per opera dei genitori stessi, per il quale bambini molto piccoli sono sottoposti a lavori in cui rischiano la salute.
Ciò nega loro anche la possibilità di andare a scuola, così molte persone di questo paese rimangono analfabete, nella maggior parte dei casi a vita. Per non parlare poi della condizione delle donne, ridotte in semi schiavitù e fortemente discriminate dai talebani, come ha fatto capire a tutto il mondo Malala Yousafai, premio Nobel per la Pace e paladina del diritto all’istruzione in quei paesi. L’Afghanistan non è purtroppo un paese ricco di risorse preziose come il petrolio, che farebbe gola ai paesi occidentali attirando la loro attenzione. L’Afghanistan produce solo oppio, da cui si estrae la droga, ma le coltivazioni spesso permettono ad intere famiglie di sopravvivere e perciò non vengono distrutte.
L’Afghanistan, lasciato solo, ad eccezione delle poche Forze di Pace internazionali inviate dall’ONU in alcune zone per supportare la popolazione, ancora oggi, dopo 40 anni, cerca di trovare un po’ di tranquillità. Ma non bisogna dimenticare che tutti i giorni le vittime di questo paese, come di molti altri, vanno incontro al muro dei loro silenzi e le loro grida si dissolvono, non vengono ascoltate da nessuno. Molte di loro sono vittime di stupro, di violenze, omicidi, che sono frequenti quando il governo non riesce a garantire sicurezza e legalità; molti sono i bambini orfani o privi di un arto, perso su una delle tante mine-giocattolo disseminate sui terreni dai russi o dai ribelli, che guardano ogni giorno faccia a faccia la morte eppure hanno il coraggio di portarsi avanti, perché nella maggior parte dei casi vivere per loro è una scelta facoltativa. Non dimentichiamo questi guerrieri del quotidiano, non solo afghani, perché lì non vi sono solo soldati che fanno la guerra, lì ci sono persone che vivono da sempre in quei luoghi, per quanto spesso poco ospitali, e vorrebbero continuare a viverci… in pace.
Gaja Di Pasquale
Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.