Sacco e Vanzetti: due uomini, una storia, un’ingiustizia
«Io dichiaro che ogni stigma ed ogni onta vengano per sempre cancellati dai nomi di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.»
Queste sono le parole pronunciate il 23 agosto 1977 dal governatore del Massachusetts Michael Dukakis, con le quali, riconoscendo ufficialmente l’errore giudiziario assolveva, riabilitando la loro memoria, i due anarchici italiani, Sacco e Vanzetti, dal crimine a loro attribuito, esattamente 50 anni dopo la loro esecuzione sulla sedia elettrica.
Era il 23 agosto 1927 quando Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, due italiani anarchici emigrati in America per cercar fortuna, venivano giustiziati sulla sedia elettrica perché accusati di rapina e omicidio. Simbolo della lotta all’ingiustizia, la loro storia ancora oggi è fonte di discussioni e dibattiti, soprattutto di rabbia e sgomento per una giustizia tradita per una “giustizia crocefissa”.
Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti si erano conosciuti e frequentati nel Massachusetts durante gli anni della Grande Emigrazione. Sacco di professione faceva l’operaio in una fabbrica di scarpe; Vanzetti, invece, dopo aver a lungo girovagato negli Stati Uniti d’America, facendo molti lavori diversi, rilevò da un italiano un carretto per la vendita del pesce. Dopo il lavoro i due giovani si incontravano e, entrati a far parte di un gruppo di anarchici italiani come loro, parteciparono a numerose piccole rivolte. Quando scoppiò la Grande Guerra, la prima guerra mondiale, i due e il gruppo si rifugiarono in Messico, per evitare di essere arruolati, ma già da allora gli agenti segreti americani li pedinavano per capire le loro mosse. Era il 5 maggio del 1920, a South Braintree, un sobborgo di Boston, quando il pescivendolo Vanzetti, mentre si trova su un tram insieme all’amico Sacco, viene arrestato e con lui anche l’amico, accusati di aver ucciso, nel corso di una rapina a mano armata, il cassiere e la guardia giurata del calzaturificio “Slater and Morril” e rubato 16mila dollari.. Ai due viene trovata una pistola e alcuni manifestini anarchici, ma soprattutto sono anarchici e sono italiani in un periodo in cui già essere solo l’una cosa o l’altra era una colpa. Gli italiani erano “i ratti delle fogne d’Europa”, quindi già colpevoli. Ed è per questo che non deve meravigliarci che la condanna che seguì fosse già annunciata, annunciata dalle parole del giudice Webster Thayer durante il processo iniziato il 31 maggio 1921 a Dedham, nel Massachusetts.
Bastava ascoltare attentamente le sue dichiarazioni per capire quale sarebbe stato il suo verdetto e comprendere la correttezza professionale e quanto fosse fedele ai significati di giustizia e imparzialità, che vuole tutti siano uguali davanti alla legge. Egli definendo i due imputati “anarchici bastardi”, dichiarò: “Se anche non sono colpevoli, vanno condannati lo stesso perché sono nemici delle istituzioni americane”. Ed infatti, nonostante tutte le prove dimostrassero la non colpevolezza dei due e nonostante un pregiudicato, tal Celestino Madeiros, si accusasse di aver partecipato alla rapina assieme ad altri complici, scagionando completamente i due italiani, la notte del 23 agosto 1927 Sacco e Vanzetti furono giustiziati sulla sedia elettrica (il primo alle 00.19, il secondo alle 00.26), dopo sette lunghi anni di processi per mostrare la loro innocenza.
La percezione era che Sacco, un calzolaio, e Vanzetti, un pescivendolo, fossero le vittime di un’ondata repressiva che stava investendo l’America di Woodrow Wilson. In Italia comitati e organizzazioni contrari alla sentenza spuntarono come funghi non appena essa fu annunciata. Molteplici le manifestazioni e le petizioni che si susseguirono, in America Latina, negli Stati Uniti, in Europa. Le ambasciate U.S.A. erano assediate. Folle immense manifestano a New York, Detroit e Philadelphia, ma ogni iniziativa fu inutile: i due trovarono la morte su una sedia elettrica, scatenando indignazione e rivolte. Anche grandi intellettuali del tempo, tra cui Albert Einstein e Bertrand Russell, sostennero con una campagna Sacco e Vanzetti, ma senza nessun esito positivo.
I funerali furono seguiti da 400.000 persone che portavano un bracciale dove vi era scritto: «La giustizia è stata crocefissa. Ricordatevi del 23 agosto 1927». E’ del resto a causa delle loro idee, che non hanno mai rinnegato durante tutti i lunghi sette anni che hanno preceduto l’esecuzione, che i due militanti sono stati uccisi. Ed è grazie a questa loro fedeltà alle proprie convinzioni che sono entrati nella leggenda del movimento operaio. Anche l’Italia fu molto scossa da questa ingiustizia.
Quando la sentenza fu eseguita, nel 1927, il fascismo era al potere in Italia da quasi cinque anni e consolidava brutalmente la propria dittatura, perseguitando e imprigionando chiunque fosse ostile al regime, inclusi naturalmente gli anarchici. Tuttavia, pur sembrando a molti inconcepibile, Benito Mussolini, nonostante l’ideologia politica lo allontanasse completamente da Sacco e Vanzetti, si adoperò perché i due connazionali fossero risparmiati. Inoltre il “Corriere della sera”, il maggiore quotidiano italiano, pubblicò la notizia con un titolo a sei colonne e in bella vista tra occhielli e sottotitoli dominava l’affermazione “Erano innocenti”. I due furono uccisi da uno strumento non di tortura, ma di morte, molto usato in America a quel tempo: la sedia elettrica. Questa era stata introdotta negli Stati Uniti nel 1888 per sostituire l’impiccagione, considerata troppo “cruenta”, ma restava comunque atroce. Il tempo massimo di sopravvivenza, legati a una sedia elettrica, è di quindici minuti: durante questo arco di tempo il condannato, colpito da potenti scariche elettriche, muore per arresto cardiaco o crisi respiratoria. Ed è quanto è accaduto ai due nostri connazionali. La vita, ma soprattutto le vicende della morte di Sacco e Vanzetti, sono passate alla storia, diventando quasi un mito e ai due protagonisti, eroi della Libertà e del libero pensiero, proprio per questo sono stati dedicati numerosi film, canzoni e anche serie TV.
Fu uno dei più clamorosi errori giudiziari del Novecento ma ammirevole e da ricordare fu soprattutto la grande coerenza e la forte convinzione nei valori mai rinnegati di Sacco e Vanzetti, il senso dell’appartenenza e dell’amicizia che li ha visti uniti in un legame indissolubile mai spezzato che li tenne uniti e spiritualmente vicini anche nel momento ultimo della loro vita, affrontato da entrambi con coraggio stoico e una dignità su cui tutti dovremmo riflettere e confrontarci. “Perché in ogni caso la vera memoria ha un futuro dentro ognuno di noi” e la loro morte incolpevole pesa come un macigno su tutti coloro che ancora credono nella validità della pena capitale.
Santi Scarpaci
Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.