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L’8 marzo ricordiamo le nostre “Madri Costituenti”

“Le schede che ci arrivano a casa e ci invitano

 A compiere il nostro dovere hanno un’autorità

 Silenziosa e perentoria.

 Le rigiriamo tra le mani e ci sembrano

 Più preziose della tessera del pane

Stringiamo le schede come biglietti d’amore

Si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di donne timorose

di stancarsi nelle lunghe file davanti ai seggi. E molte tasche gonfie

per il pacchetto della colazione. Le conversazioni che nascono tra

uomo e donna hanno un tono diverso, alla pari”

Così scriveva Anna Garofalo, giornalista, nel 1946.

Il 2 giugno 1946 gli italiani di entrambi i sessi, maggiori di 21 anni, vennero infatti chiamati alle urne, oltre che per il referendum istituzionale tra repubblica e monarchia che sancirà la fine di quest’ultima, anche per eleggere i membri dell’Assemblea Costituente, cui sarà affidato il compito di redigere la nuova carta costituzionale, come stabilito con il decreto-legge luogotenenziale del 25 giugno 1944, n. 151. Il sistema elettorale prescelto per la consultazione elettorale fu quello proporzionale, con voto “diretto, libero e segreto a liste di candidati concorrenti”, in 32 collegi plurinominali, per eleggere 556 deputati. Le urne si aprirono la mattina di domenica 2 giugno alle 7 e chiusero alle 13 del giorno dopo. Gli aventi diritto erano 28 milioni, a recarsi nei seggi quasi 25 milioni di elettori. Metà erano donne: era la prima volta, in Italia. Alcune di esse avevano votato già qualche mese prima, il 10 marzo, nelle elezioni amministrative che avevano riguardato circa 400 comuni.

Ma il 2 giugno erano chiamate tutte a esprimersi: operaie, contadine, casalinghe, celebrità. L’emozione e la curiosità per quella nuova esperienza si leggeva nei loro volti, stavano vivendo un evento che avrebbe determinato una svolta epocale, anche perché lunga e tortuosa era stata la battaglia che altre coraggiose donne avevano combattuto per ottenere questo diritto. Nel marzo 1946, in occasione delle amministrative, già una piccola rappresentanza di donne aveva avuto il privilegio di recarsi alle urne grazie al decreto legislativo luogotenenziale del 2 febbraio 1945 che estendeva alle donne quanto previsto per i maschi, ma il decreto che consentiva il voto alle donne aveva però una difetto poiché non accennava alla possibilità per loro di essere elette, questione che fu invece esaminata e risolta proprio il 10 marzo 1946.

Il 2 giugno 1946 fu dunque una giornata indimenticabile, soprattutto per le donne e non soltanto perché proprio loro, a cui era negata anche la facoltà di esprimere il proprio pensiero, erano riuscite a farsi spazio e a poter dire la loro opinione, ma anche perché ventuno di loro ebbero la possibilità di essere elette e potevano, in tal modo, rappresentare il pensiero di tutte le italiane dimostrando di non essere così “emotive” né così fragili come alcuni uomini sostenevano. La loro voce si fece sentire sempre più potente e sempre più concreta. Erano solo 21 su 556, il 4% del totale, ma erano forti e determinate.

I loro nomi erano: Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria De Unterrichter Jervolino, Filomena Delli Castelli, Maria Federici Agamben, Nadia Gallico Spano, Angla Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angelina Merlin, Angiola Minella Molinari, Rita Montagnana, Maria Nicotra Verzotto, Teresa Noce, Ottavia Penna Buscemi, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi e Vittoria Titomanlio. Ognuna di loro lottò per far riconoscere diritti su diverse questioni, quali la parità dei diritti tra uomo e donna sia in ambito familiare che lavorativo, l’educazione e l’istruzione, la famiglia, la giustizia e altro ancora. Nove di loro erano democristiane, altre nove facevano parte delle file comuniste, due appartenevano al partito socialista, e una al partito dell’Uomo Qualunque. Di loro, 14 erano sposate con figli e 14 potevano vantare il possesso di una laurea. Nonostante ognuna di esse avesse una propria storia, una propria vita e propri ideali, si unirono per un comune obbiettivo e cambiarono la nostra storia, spesso pagandone di persona anche le conseguenze. Ognuna si contraddistinse per una propria caratteristica: Teresa Mattei era, ad esempio, la più giovane e a 17 anni era stata espulsa da scuola per aver contestato la lezione fascista sulla razza; Teresa Noce si impegnò per la tutela delle lavoratrici madri; Nilde Iotti per le sue competenze politiche diventerà la prima presidente donna della Camera dei deputati; Angelina Merlin fu la prima donna ad essere eletta al Senato. Grande donna Lina Merlin, soprattutto ricordata per il grande impegno profuso per abolire la prostituzione legalizzata in Italia, cosa che le procurò inimicizie anche in seno al suo stesso partito. Ma a lei si devono anche l’abolizione della infamante dicitura “figlio di N.N.” che veniva apposta sugli atti anagrafici dei trovatelli, la legge sulle adozioni che eliminava le disparità di legge tra figli adottivi e figli propri e la soppressione definitiva della cosiddetta “clausola di nubilato” nei contratti di lavoro, che imponeva il licenziamento alle lavoratrici che si sposavano. Sembra, inoltre, che alla Merlin si debba quella parte dell’articolo 3 che recita “Tutti i cittadini… sono uguali davanti alla Legge”, precisando “senza distinzioni di sesso”. Lei, insieme ad altre quattro colleghe (Maria Federici, Angela Gotelli, Nilde Iotti, Teresa Noce) saranno infatti chiamate a far parte della Commissione dei 75 per la Costituzione incaricata di elaborare e proporre il progetto della Costituzione repubblicana.

Il progetto costituzionale fu presentato all’Assemblea nel febbraio del 1947, ma venne approvato solo il 22 dicembre dello stesso anno con 458 voti favorevoli e 62 contrari, per un totale di 520 votanti. La Costituzione entrerà in vigore il primo giorno del 1948 e da allora la nostra Italia diviene una “Repubblica fondata sul lavoro”, quel lavoro per cui le donne hanno sempre lottato. Sono proprio da ricordare allora, l’8 marzo, le nostre Madri Costituenti, che hanno lottato per i diritti femminili e che hanno scritto, al pari dell’uomo, la carta delle leggi nazionali italiane.

Rita Chiara Scarpaci

Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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