lunedì, Dicembre 23, 2024
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La banda dei cortili #Settestoriedimemoria_04

Un gruppetto di ragazzini tra i nove e gli undici anni; un imbianchino molto sospetto e un pomeriggio caldissimo. Sono gli ingredienti base per una storia minima di piena estate, dove la protagonista vera, però, è la città, attraversata dentro la sua parte più intima: i cortili.

 Sono nato in un quartiere con molte anime. Ci convivono, tuttora, gli estremi del sacro e del profano, l’alto e il basso; ci trovi il professionista e l’operaio, l’onesto e il delinquente, il bottegaio arricchito e l’ambulante a posto fisso. Un’umanità che, nel suo campionario più completo, trovi spesso in coda all’ufficio postale.

Ci trovi anche tutti i negozi base, compresi una gran pasticceria e un rinomato bar sportivo; tre chiese con due processioni, un istituto Superiore e due Primari; il mercato, il Gran Camposanto e il giardino pubblico più grande della città. Scherzando, da piccolo pensavo che avremmo potuto dichiararci indipendenti.

Le tante anime non erano soltanto sociali, ma anche architettonico-urbanistiche. Così diverse tra loro da costituire piccoli mondi identitari. Perciò, all’epoca, se appartenevi a una parte non potevi essere dell’altra, anche se per andare da un mondo all’altro ci mettevi solo una manciata di minuti a piedi.

La mia era una casa con cortile. Se sei di Messina e hai almeno cinquant’anni, le probabilità che tu sia nato in un cortile sono altissime. Non che dopo i cortili siano spariti, ovviamente. Solo che l’espansione sulle colline e la fuoriuscita dal centro hanno frammentato tutto, diversificando anche le tipologie degli edifici.

Nella mia parte di quartiere ci dividevamo tra quelli come me, che abitavano nei cortili – nelle case costruite per prime a metà degli anni ’20 – e i ragazzi delle palazzine nuove, gli edifici che sul finire degli anni ’60, inizi dei ’70, si mangiarono tutti gli orti, a monte e a valle della parte più vecchia.

Non ricordo differenze sociali evidenti perché, almeno fino alle medie, ci guidavano soltanto le relazioni naturali. Giocavamo nelle due lunghe strade dritte verso monte e nelle trasversali. Il tempio del calcio era un’area chiusa pavimentata, buona per ospitare le partite. Nelle mattinate d’estate ci vedevamo tutti lì.

Pomeriggio il punto di raccolta era il campo di bocce; in verità, uno spazio semi privato che s’infilava tra due edifici. Il nome nasceva dal fatto che ci giocavamo a ‘cciappe, pezzi di marmo trovati in giro e lanciati, come le bocce, a prendere il pallino, una ‘cciappa piccola sotto cui c’era il trofeo; di solito figurine dei calciatori.

Dalla strada di casa, come in un fondale lontano, vedevo il Gran Camposanto, con la caratteristica collina a terrazze che di notte s’accendeva per le migliaia di lucine dei morti. Dico vedevo perché le costruzioni degli anni ’90, chiusero l’ultimo spazio libero che era rimasto in fondo alla via, il cosiddetto campo delle canne.

Ora, posto che stiamo parlando di canna comune, cioè l’Arundo donax e non delle sigarette di marijuana, quel luogo, nel nostro immaginario di ragazzini delle medie, era importante perché una voce incontrollata dava per certa l’esistenza di un buco nel terreno, con un passaggio sotterraneo che portava non so dove.

Non c’era nulla, ovviamente. Erano tempi ingenui in cui si lavorava di fantasia, ma la storia riflette, in fondo, il bisogno naturale della scoperta, necessario a quell’età. Un’altra voce ancora più incontrollata riferiva, invece, di un morto – un carabiniere – sotterrato da qualche parte in un terreno dentro l’Istituto Superiore.

Per accertare la cosa, una sera estiva ci avventurammo nell’amplissima area esterna della scuola, guidati da un basista, il figlio del custode. Non so neanch’io quanti eravamo! Armati di torce, esplorammo i luoghi del delitto. Del cadavere neanche a parlarne, però scoprimmo che sotto uno dei fabbricati, rialzato sul terreno in declivio, si poteva passare da parte a parte. Era una grandissima rivelazione che ci bastò.

Fu ancora una volta il bisogno necessario d’avventura, un caldissimo pomeriggio d’estate, a farci varcare da soli i confini virtuali del quartiere. Non ricordo con chi fossi, né quanti eravamo. Certamente un piccolo gruppo di coetanei. All’angolo opposto di casa mia, avevamo attaccato discorso con un imbianchino, figura che a quei tempi io chiamavo pittore. Aveva appena finito di lavorare e si stava ripulendo.

Tutto avvenne in un lampo. Al termine della conversazione, quando ci voltò le spalle per andarsene, scoccò la scintilla: decidemmo di seguirlo! Quel tizio ci apparve subito sospetto; aveva qualcosa che non quadrava. Credo che tutto fosse nato dal fatto che si era dichiarato tifoso della Fiorentina.

Assurdo, nessuno di noi tifava Fiorentina, a quei tempi! Tutti regolarmente schedati tra Juve, Inter e Milan, con l’ovvia franchigia per il Messina. Sì, c’era in effetti un ragazzo del quartiere, tale Sandro, che pare tifasse quella squadra, ma credo che la madre fosse del nord. Poi era biondissimo e col capello a caschetto; ci poteva stare, ma un pittore, no! Uno di noi, uno di qui. Era troppo sospetto!

Senza mai farci vedere e alla dovuta distanza, cominciammo perciò a pedinarlo. Uscimmo dalle strade abituali, oltrepassammo il Viale e il giardino pubblico e arrivammo nella zona dei grandi cortili. Dico grandi perché il rettangolo stretto e lungo di casa mia era piccolissimo al confronto. Quelli grandi avevano corpi di fabbrica articolati, due o tre ingressi e molti alberi. In alcuni c’erano anche dei pozzi chiusi.

Io conoscevo bene il cortile grande di mia nonna e altri due dove abitavano dei cugini e una zia. Tutti vicini. Però molti di quelli che il pittore attraversò quel giorno mi erano completamente sconosciuti. Non ignoravo del tutto le strade che stavamo percorrendo. C’ero stato altre volte in quella zona, con mio padre, ma dentro gli isolati non eravamo entrati. Il nostro bersaglio sospetto, forse per dare vivacità al cammino, privilegiò invece l’entrata e l’uscita continue da ogni cortile.

Entrammo e uscimmo perciò anche noi, dai tanti cancelli. Superammo soglie, androni e portici; aggirammo aiuole con alberi alti e cespugli rigogliosi. Fummo sempre attenti a non sporgere mai la testa oltre il visibile, a scattare d’improvviso se il pittore spariva o a rallentare repentinamente appena fosse stato necessario.

Scoprimmo un mondo di panni stesi, ragazzini che giocavano inseguendosi, nonne che si parlavano a voce altissima dai balconi. Ancora, sedie di casa davanti alle porte dei piani terra, donne in vestaglia e uomini che fumavano con occhi addormentati, vestiti solo di un pantaloncino e di una camicia aperta a maniche corte.

Non ho ricordo del tempo che occupò quello strano pedinamento. La distanza la stimo, oggi, in poco più di un chilometro, forse uno e mezzo. A quella età, in un mondo diverso, con l’austerity delle domeniche senza automobili per la crisi del petrolio, era una cifrona. Alla fine, comunque, così come iniziò, l’avventura finì. Come fanno spesso i ragazzini, con scelta improvvisa decidemmo di tornare.

Non so bene cosa ci aspettassimo da quell’azione poliziesca; forse di sorprendere un raduno segreto di altri tifosi della Fiorentina o null’altro che conoscere dove abitasse quel tizio. Oppure, più semplicemente, non era necessario uno scopo. Come si dice in questi casi: era il percorso più importante del traguardo.

Oggi quel percorso non si può più fare allo stesso modo. Ai cancelli un tempo spalancati, hanno aggiunto citofoni e chiusure automatiche. È il gioco delle cose che cambiano. Anche se da architetto sono sempre riuscito a entrare in molti cortili, ciò che non tornerà mai più è la libertà di farli tutti insieme, di seguito.

 Non capivo nulla a quell’età di tipologie, passi strutturali e relazioni spaziali, elementi che entreranno nella mia visuale, ovviamente, solo molti anni dopo. Quel giorno, da figlio naturale dei cortili, semplicemente mi immersi nel mio mondo. Anche quando cambiai casa e vita, mi è sempre rimasto dentro.

 

Dell’occasionale banda scalcinata, invece, non restano più neanche le facce.

Francesco Galletta

Un pensiero su “La banda dei cortili #Settestoriedimemoria_04

  • Mariaceleste

    Sempre delicati, coinvolgenti e bellissimi i tuoi racconti. Riesci ogni volta a sorprendermi. È incredibile come tu riesca a trasportarmi nei tuoi luoghi negli anni della tua gioventù. Sei straordinariamente bravo, scrivi con il cuore Francesco caro. Complimenti davvero!

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