S. O. S: ULTIMATM DAL PIANETA TERRA
Crescita demografica, progresso tecnologico, sviluppo economico, stanno alla base dei principali cambiamenti ambientali. Nella società odierna assistiamo ad un’alterazione degli equilibri del nostro ecosistema. La logica del consumismo ha il sopravvento e l’atavico equilibrio, che i nostri avi sembrano aver gelosamente custodito e mantenuto, è ormai inesistente. Qualsiasi attività umana si muove in direzione diametralmente opposta ai bisogni del nostro pianeta. Basta “tuffarsi nel passato” per rendersi conto, come l’agricoltura, da sempre considerata un’attività rispettosa della natura, ultimamente ha favorito processi erosivi che inquinano il nostro ambiente.
Arature del suolo troppo profonde, tecniche intensive di coltivazione, prelievo delle acque dei fiumi o, dalle falde freatiche determinano, gravi dissesti ambientali.
Il fenomeno della “subsidenza” causato dalla deviazione di corsi d’acqua, correlata all’innalzamento del livello del mare, provocherà in un futuro, non molto lontano, la scomparsa di alcune città costiere, mentre a tutt’oggi assistiamo al processo di salinizzazione, che interessa alcune zone costiere dell’India, della Cina, ma anche facilmente riscontrabile, nella zona mediterranea. Particolarmente devastanti sono le alterazioni ambientali provocate dalla costruzione di laghi artificiali.
Si calcola che nella superficie terrestre ne esistano oltre 10.000 mila, per non parlare di quelli di piccole dimensioni a servizio di micro-aziende. La costruzione di un bacino artificiale, se da un lato arreca indubbi vantaggi all’economia di una regione, dall’altro può provocare modificazioni ambientali negative e calamità quali: la sommersione di lunghi tratti vallivi col conseguente abbandono dei centri situati sul fondovalle. “La realizzazione del lago Bratsk in Russia, ad esempio, ha comportato la delocalizzazione di 250 villaggi con 700.000 persone; la diga di Assuan sul Nilo, ha richiesto il trasferimento di oltre 100.000 persone ed ha sommerso una delle regioni archeologiche più interessanti dell’Africa; il lago Tucurui in Brasile, ha coperto 2.430 Km quadrati di lussureggiante foresta vergine” (C Formica, Lo spazio geoeconomico, pp 500-511, anno 2003). Un secondo inconveniente risiede nel fatto che gli invasi sono causa indiretta dell’erosione costiera. La natura si ribella a tutte queste forme di violenza, diventando lei stessa pericolo per l’umanità. Inondazioni, esondazioni, eruzioni e frane sono i “doni” della natura, stanca di tanto scempio. Il Delta del Nilo, ad esempio, dopo la costruzione della diga di Assuan (1974) si ritira di circa 40m. all’anno e in Italia i tratti costieri della Basilicata situati presso le foci dei fiumi Agri e Sinni, che prima della costruzione avanzavano di cinque metri l’anno, ora si assottigliano di oltre un metro l’anno. Immediata è la risposta della natura.
Terremoti di una certa intensità, frane di una certa entità, formazione di masse d’acqua e di fango che violentemente raggiungono il fondovalle travolgendo tutto ciò che incontrano nel loro percorso, sono forse segnali che la natura invia all’uomo, avvertendolo ed invitandolo ancoro una volta a rispettare il proprio ambiente vitale. La specie umana, insensibile e non curante continua a soddisfare le richieste dettate da una dimensione urbanistica sempre più grande. Blocchi di cemento si sostituiscono al “verde” IL disboscamento avanza a dismisura, impoverendo l’ambiente naturale.
In molte zone (America centrale, Filippine, Asia sud – orientale ecc.) la superficie della foresta fluviale si è dimezzata. Destinata ad una rapida degradazione sembra la foresta amazzonica, data la decisione dei governi brasiliani di costruire 15.000 km di autostrada e convertirne immensi spazi a pascoli o colture da esportazione. Ancora una volta la “natura” ci avverte delle conseguenze ecologiche di portata planetaria per il clima e la produzione di ossigeno. L’Amazzonia fornisce il 50 % dell’ossigeno prodotto da tutte le foreste equatoriali messe insieme. Essa costituisce il più grande sistema di ossigenazione naturale del mondo, in grado di assorbire una quantità inestimabile di anidride carbonica.
Immediata la risposta della natura la quale ricambia l’uomo favorendo l’avanzamento del deserto. I processi di desertificazione coinvolgono, sia pur in misura diversa, 35-40 milioni di km quadrati, dove vivono ben circa 700 milioni di persone, e ogni anno circa 20 milioni di ettari, superfice ampia come quella della Spagna, diventano improduttivi per le coltivazioni e per i pascoli. ( C. Formica, Lo spazio geografico pp.500-511,anno 2003). Studi recenti evidenziano che l’uomo vive ormai in un ambiente inquinato, ammalato, che porterà all’estinzione di ogni forma di vita. Gli agglomerati urbani hanno causato il depauperamento di foreste, boschi, alterando e violentando l’ambiente originario. L’inquinamento nelle sue molteplici forme regna sovrano e la natura così sofferente avvolge nelle sue maglie anche l’uomo che, vivendo in essa si ammala con essa. Sembra di assistere ad una lotta senza esclusioni di colpi. L’uomo con la sua attività produttiva inquina l’ambiente e questo reagisce, anche, tramite i fenomeni naturali quali: le precipitazioni.
E’ il caso delle così dette, piogge acide, che inquinano ogni cosa con cui giungono a contatto. Esse sono molto frequenti nelle zone industrializzate e procurano danni sia alla natura che agli uomini. Il 40% delle foreste canadesi ed il 22% di quelle europee sono state gravemente danneggiate da questo fenomeno. Questa è solo una forma di inquinamento atmosferico, che dire del buco dell’ozono causato dai clorofluorocarburi? E di quello radioattivo? Se si è statisticamente provato come alcune particelle radioattive cadendo al suolo perdono la loro radioattività è altrettanto statisticamente provato, come altre mantengono la propria carica positiva per molti decenni ( Chernobyl 1986). Interessante è il rapporto annuale, sullo stato di salute del mondo redatto dal Worldwatch Institute di Washington, una delle più accreditate istituzioni scientifiche internazionali, che individua un margine di tempo molto stretto per salvare la Terra: appena qualche decina di anni. Dopo di che, in assenza di interventi, seguirebbe l’apocalissi ecologica. Visione forse troppo catastrofica, ma necessaria per comprendere come non ci sia più tempo da perdere e che occorre procedere verso un utilizzo razionale e parsimonioso delle risorse economiche ed ambientali nel rispetto degli ecosistemi terrestri. Così come sostiene l’ecologo statunitense Barry Commoner i complessi legami che legano gli ecosistemi della Terra, possono essere sintetizzati in quattro leggi fondamentali:
- Ogni cosa è connessa a qualsiasi altra. Un ecosistema è reso stabile dalle sue dinamiche di autocompensazione. Una piccola perturbazione verificatasi in una sua parte, può provocare ampi effetti a lunga distanza nello spazio e nel tempo.
- Ogni cosa deve finire da qualche parte. Si tratta di un principio fondamentale della fisica. Applicato all’ecologia significa che in natura non esiste lo “spreco”.
- La natura è l’unica a sapere il fatto suo. Molto spesso gli interventi apportati dall’uomo sulla natura per sanare “guasti” evidenziati in essa, hanno dato origine ad una reazione a catena di squilibri ambientali non previsti e difficilmente controllabili.
- In natura non si distribuiscono pasti gratuiti. L’ecosistema globale è un tutto collegato e interconnesso, all’interno del quale niente può essere guadagnato o perduto. Ogni cosa che l’uomo sottrae a questo sistema deve essere restituita. Non si può evitare il pagamento di questo prezzo; lo si può soltanto rinviare. L’attuale crisi ambientale ci avverte che abbiamo rimandato troppo a lungo (C. Formica, lo spazio geoeconomico, p511, anno 2003).
Il problema del ripristino degli ecosistemi, attanaglia la nostra società, esso presuppone un impegno concreto da parte dell’intera comunità internazionale: cosa teoricamente possibile, ma praticamente difficile.
Rossella Martelli.
XV I.C. “Vittorini” Messina.