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La scuola poetica siciliana dà origine alla letteratura italiana

Nella seconda metà del ‘200, alla corte palermitana del grande imperatore Federico II di Svevia, fioriva la “scuola poetica siciliana”. Non si trattò, però, di una vera “scuola” nel senso tradizionale del termine, bensì di un movimento poetico e culturale, dal quale ebbe successivamente vita la letteratura italiana.

Federico II

Il sovrano era un amante della cultura, della scienza e dell’arte e per questa ragione fu soprannominato da molti “stupor mundi”, ossia “meraviglia del mondo”. Fu per suo volere infatti che, attorno alla sua corte, si radunarono i più grandi intellettuali dell’epoca – non solo italiani ma anche di provenienza normanna, araba, greca e ebrea – per mettere in comune le conoscenze di cui erano in possesso nell’ambito del diritto, della filosofia, della matematica, dell’astronomia, della medicina e delle varie arti. Non c’era alcuna distinzione di razza o di fede religiosa: tutti collaboravano attivamente alla creazione e allo sviluppo di una cultura che fosse in primo luogo libera ma soprattutto laica, per contrastare il potere culturale detenuto in quell’epoca dalla Chiesa nei territori dell’impero.

Era da più di un secolo che in Sicilia giungevano molti trovatori dell’Italia settentrionale, i quali avevano avuto la possibilità di confrontarsi con i colleghi provenzali assorbendone lo stile e la poetica. L’imperatore, intellettualmente molto curioso e vivace, aveva quindi approfittato della situazione favorevole per rielaborare l’esperienza francese adattandola alle esigenze della sua corte. Ebbe così inizio un modo di fare cultura alquanto “costruito”, dal momento in cui i funzionari regi si presero la briga di comporre versi, intervallandoli ai propri doveri amministrativi. I poeti della scuola siciliana erano infatti i funzionari di corte e la poesia dunque non era considerata un lavoro vero e proprio, bensì una libera espressione dello spirito, uno svago, un “di più”.

Gli artisti, se così si possono definire, per i loro componimenti si ispirarono proprio a quei trovatori provenzali che, in fuga dopo l’annessione della Provenza alla Francia successivamente alla crociata contro gli Albigesi promossa da papa Innocenzo III, si rifugiarono a Palermo, ne rielaborarono la lingua e accostarono al siciliano illustre forme provenzali, termini dialettali e infine neologismi. Le tematiche dei componimenti non riguardavano in nessun caso lotte e guerre, poichè Federico garantiva pace e armonia ai suoi sudditi e per tale ragione i poeti scrivevano riguardo l’amore e la donna. Il rapporto amoroso tra dama e cavaliere era concepito però da un punto di vista sociale ed esso doveva imitare il sistema del feudalesimo. Ciò vuol dire che l’innamorato doveva giurare fedeltà e dedizione assoluta alla donna amata, rendendole omaggio e servizio, proprio come avrebbe fatto un vassallo con il suo signore. La donna veniva rappresentata con caratteristiche tipiche: bella, molte volte inaccessibile, dotata di raffinata educazione e capace di nobile amore.

Jacopo da Lentini

Veniva equiparata alla rosa profumata o ad una stella lucente e l’uomo con lei aveva, come già detto, una relazione di vassallaggio cavalleresco: non le rivelava il suo amore, ma lo teneva per sé per poi cantarlo in poesia. Un’interpretazione di questo tipo dell’amore cortese cambiò tuttavia il concetto stesso di amore, scoprendolo di tutti quei tratti terribilmente drammatici così preziosi per i poeti francesi. La relazione tra l’uomo e la donna appare ora più realistica nella misura in cui sono concrete le situazioni in cui entrambi vengono a contatto e a scomparire è di fatto l’ambientazione favoleggiante usata dai provenzali. Il modo con cui si manifesta l’amore è altrettanto nuovo, e la più celebre poesia di Giacomo (Jacopo) da Lentini, uno dei massimi esponenti della scuola siciliana nonché ideatore del sonetto “Amor è un desio che vien da core”, ne è la dimostrazione.

amor è un desio che ven da core
per abbondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima generan l’amore
e lo core li dà nutricamento.

Questi sono i primi versi della poesia, e già da essi si può capire che l’amore era un sentimento che si manifestava prima attraverso la vista della donna per poi passare solo in un secondo momento nel cuore. È quindi negli occhi, nello sguardo, che nasceva la scintilla amorosa, ed è invece il cuore che l’alimentava. Il concetto del “vedere d’amore” si trasformava in poesia, da un punto di vista stilistico, attraverso l’uso di numerose metafore.

La scuola siciliana ha avuto il grande il merito di usare il dialetto locale e di elevarlo a lingua di cultura. Si trattava comunque di un linguaggio ancora impregnato di forti latinismi e pulito da eventuali intercalari stilisticamente bassi. Ma comunque l’idea stessa di dare una “chance” al dialetto era certamente all’avanguardia, tanto che venne addirittura ripresa dalla produzione poetica successiva di cui Dante è l’esempio lampante. La Scuola Siciliana tramontò dopo la morte di Federico, quando crollò il potere degli Svevi in Italia, tuttavia la sua eredità venne raccolta in Emilia e in Toscana, dove nacque un nuovo movimento letterario, il “Dolce Stil Novo”… Ma questa è un’altra storia…

Martina Crisicelli

Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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