La musica, più forte dell’orrore della Shoah
Questa è la storia di un uomo, Wladyslaw Szpilman, famoso pianista ebreo polacco sopravvissuto, un po’ per caso, un po’ per fortuna, all’invasione tedesca e alle barbarie del ghetto di Varsavia. È la storia di un uomo che usa la volontà di sopravvivenza come scudo da ogni forma di soppressione fisica e psicologica, ma anche di un popolo umiliato dalle follie e dalle ingiustificabili crudeltà naziste. È la storia di come la forza della musica e della speranza possano andare oltre gli errori e gli orrori della seconda guerra mondiale.
Questa è la storia raccontata da Roman Polanski nel film vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2002: “Il Pianista”. Varsavia, 23 settembre 1939. Le malinconiche note del “Notturno” di Chopin echeggiano tra le mura dello studio della radio polacca presso la quale lavora Szpilman, quando lo struggente suono del pianoforte viene d’improvviso interrotto dal fragore delle bombe tedesche che cadevano sulla città: la Germania aveva invaso la Polonia.
Il pianista non riesce a staccare i polpastrelli dai tasti, non può dividere l’indissolubile legame tra lui e la musica, non può lasciare incompleta una melodia strappandola alla sua naturale armonia, ma sarà costretto a farlo quando una granata distruggerà una delle pareti dello studio. Questo è il preludio con cui si aprono le vicende del film in cui il regista riesce a descrivere il progressivo percorso verso lo sterminio di un popolo che, inizialmente, aveva nutrito la speranza che niente di concretamente grave sarebbe accaduto. Ma presto la guerra precipitò Varsavia nell’orrore dell’occupazione nazista.
Rinchiuso nel ghetto, insieme alla sua famiglia, Wladyslaw vede gli ebrei a poco a poco decimati nei modi più disumani. Un bambino morto tra le sue braccia, ucciso in maniera barbara e crudele, un uomo affamato che mangia il riso da terra come fosse un cane, un disabile volato dal balcone colpevole della sua disabilità, segnano intimamente il protagonista. Particolarmente cruda è infatti la ricostruzione della vita nel quartiere ebreo, con strade costantemente disseminate di cadaveri di donne, uomini e bimbi innocenti. Nel momento in cui Szpilman sfugge alla deportazione, separandosi dalla famiglia, si apre la seconda parte del film, durante la quale egli sgattaiola da un rifugio all’altro e il suo unico interesse sarà quello di riuscire a sopravvivere il più a lungo possibile.
Il pianista si ritrova ad assistere come spettatore ad ostili ma deboli ribellioni da parte di piccoli gruppi di ebrei alle quali impulsivamente vorrebbe partecipare, ma razionalmente si limita a osservare dalla tenda del suo nascondiglio. Da uomo timido e celebre musicista si trasforma in un derelitto zoppicante e furtivo che si aggira tra le macerie di una Varsavia devastata e irriconoscibile, alla disperata ricerca di cibo e luoghi dove nascondersi. Nonostante vi sia la convinzione che l’unica cosa da fare sia aspettare e sperare che la guerra finisca presto, Wladyslaw non ha la forza di credere che ci sia ancora un Dio, ma cerca sostegno nella musica, muove continuamente le dita, in maniera ossessiva, immaginando di poter di nuovo suonare il pianoforte, proprio come una volta. Obbligato a nascondersi e a vivere di scappatoie, porta sempre con sé le sue composizioni, insieme agli unici oggetti che possiede ancora: un orologio e una penna stilografica. La morte lo sfiora molte volte, lo rincorre ma non riesce mai ad afferrarlo. Lui deve vivere ed andare avanti, anche quando la sua stessa volontà è indebolita dalle sofferenze. All’ultimo momento, ormai allo stremo delle forze, grazie al più improbabile dei salvatori, la sua vita viene risparmiata. Un ufficiale tedesco della Wermacht, Wilm Hosenfeld, lo ascolta suonare su di un pianoforte trovato tra le macerie lo stesso “Notturno” di Chopin che segnò l’inizio della sua tragica odissea e, mosso dalla commozione e dal talento, deciderà di aiutare Szpilman a sopravvivere finché i tedeschi non saranno costretti a ritirarsi dopo la liberazione della città da parte dell’Armata Rossa. Il film si conclude con l’artista su un palco e le note di Chopin, come sottofondo ad una emozionante standing ovation per un grande pianista, non casualmente Il Pianista, e per un grande uomo, che aveva trovato nella musica la forma perfetta di espressione della propria storia, ragione primaria, anzi unica, di rinascita. È ancora vivo.
Gli è stato strappato tutto: la sua famiglia, i suoi amici, il suo mondo. Ma è anche sopravvissuto a tutto: al ghetto, alla rivolta di Varsavia, alla distruzione della città da parte dei tedeschi. E si è ripreso la sua vita. Grazie alla musica.
Martina Crisicelli
Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.