venerdì, Novembre 22, 2024
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Le controfigure di Alice Settestoriedimemoria_01

Prendi un paio di ragazzotti e di signorine tra gli «universitari in vista del traguardo» e quelli che «vivo di notte, perché di giorno dormo» e buttali su un palcoscenico. Forse in futuro faranno tutt’altro oppure nulla, ma regalerai loro un’esperienza unica che non dimenticheranno mai più.

Sbucare dal teatro più grande della tua città dopo otto ore di prove è come scappare da una caverna. La luce del tramonto fa brillare le facciate degli isolati sulla Cortina del Porto e taglia in due gli occhi. Ovvio che tutti ci guardano, distesi sotto il portico d’ingresso. Noi, i fantasmi bizzarri, le controfigure dello spettacolo Alice; la banda dei reclusi, con le facce bianche di cerone, il vestito nero di scena e l’espressione allucinata di chi ha bisogno di ossigeno.

Fare la controfigura è come trasformarsi nella tessera di un puzzle, essere parte di un disegno complessivo che all’inizio non puoi decifrare. Vuol dire vivere uno spettacolo in mille rivoli, senza sapere cosa fai e perché. In fondo, non è neanche difficile. Ti hanno preso perché hai la stazza dell’attore da sostituire; ti piazzano in un punto della scena sparandoti in faccia uno spotlight e controllano che tutto sia ok. Però, se va bene, ti sei già fatto un’ora in piedi.

Passato il primo giorno, il teatro ormai è casa: in platea c’è il soggiorno, il bar è la tua cucina; le poltroncine, per qualcuno, sono il letto. Non per me che osservo il lavoro misterioso del tecnico luci. Poi l’ingresso, le scale, i bagni. Qui tutti si muovono d’istinto. Anche la “febbre di scena” è una sensazione involontaria, che prende alla testa senza bisogno di essere un attore vero o un tecnico. Ti viene naturale.

Dietro le quinte, poi, è il regno delle tenebre: pareti nere e luci spente; un mondo di strani personaggi armati di torce che bucano l’oscurità in cerca di bersagli. Si muovono come gatti, senza mai inciampare, con i percorsi ben chiari in testa e arnesi invisibili alle mani.

Il palcoscenico è la scatola magica che ti sorprende, quell’architettura mutevole disegnata dalle luci e dai fili d’acciaio che materializzano e smantellano le scene in un battito di ciglia. Seguire le prove è come leggere un manoscritto con le note dell’autore a margine, come scoprire il processo compositivo di un’opera, con i trucchi di scena che ti fanno spalancare gli occhi.

Noi invece, la banda dei reclusi, siamo il mondo in miniatura; come i compagni di classe al liceo. Qualcuno lo conosci già, altri li hai visti in giro; di più le facce nuove. C’è quello che vuole fumare sempre e alla prima occasione scappa; chi ti fa ridere appena apre bocca. C’è la smilza, il tipo robusto, la più figa di tutte, quello alto come te; l’appiccicoso oddiomamma, che sa tutto e non la smette mai di parlare; chi si lamenta sempre e chi, invece, non si preoccupa di nulla.

Infine, c’è lo spettacolo. Tolti i manti da controfigure, alla generale il pubblico diventiamo noi; gli attori al loro posto. Tutto si ricongiunge; i movimenti alle persone, le musiche con le luci: pezzi di trama flebile che tornano catena logica. Sale la tensione; come le scene e l’incanto. Domani sarà la “prima nazionale” per Alice, di Bob Wilson, musiche di Tom Waits, ma oggi è solo il nostro spettacolo, l’unica grande meraviglia.

CONSIDERAZIONI MOLTO A POSTERIORI

Ho ritrovato questo scritto su Alice facendo pulizia estiva tra vecchissime carte. Un foglio protocollo a righe. Non c’era il computer, ancora, nella mia vita e usavo scrivere a matita per cancellare i ripensamenti e gli errori. Ho riportato quasi tutto il testo, modificando qualche parte qua e là con gli occhi nuovi del ricordo. Era il mio primo spettacolo da figurante anche se, in verità, quella fu solo una prova luci.

Ne seguirono altri. Alzai qualche lira con quei brevi lavori, ma i soldi presi, importanti nel breve periodo, alla fine sparirono. Rimangono oggi in cassa le cose migliori: le meraviglie di Alice, l’Habanera sensuale di Carmen da dietro le quinte, la fantastica scenografia girevole della Cenerentola di Rossini, tutta l’Opéra de Paris che danzava Nureyev nel Lago dei Cigni, i miei costumi molto strani e un po’ di foto non ancora digitali.

Rimangono i cameroni condivisi tutti su tutti, il trucco-parrucco, la prova generale, l’ante-generale, le inverosimili storielle di un pesce e del bruco fra le tante raccontate da Enrico e quell’inesprimibile sensazione che mi rendeva felice, anche se sapevo di essere solo l’ultima piccola vite di un meccanismo troppo più grande di me.

Francesco Galletta

Un pensiero su “Le controfigure di Alice Settestoriedimemoria_01

  • Mariaceleste Tisselli

    Anche questo hai fatto nella tua vita! Sei sempre una scoperta Francesco caro! Non è più sorprendente, a questo punto, il tuo scrivere ma resta sempre delizioso e coinvolgente. Sei stato bravissimo e lo sei rimasto. Complimenti con tutto il cuore!

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