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I BRONZI DI RIACE

Molto conosciuti e ammirati, simbolo caratteristico del comune di Reggio Calabria, i “Bronzi di Riace” si trovano nel Museo Archeologico Nazionale della città e costituiscono una meta turistica molto ambita da chi apprezza le sculture bronzee appartenenti all’epoca greca. Rinvenuti nel 1972, precisamente la mattina del 16 agosto, dal sub Stefano Mariottini, vennero recuperati solo cinque giorni dopo per poi essere trasportati a Firenze per subire un’operazione di restauro presso l’ “Opificio delle Pietre Dure”, uno dei laboratori più conosciuti al mondo.

Stefano Mariottini sub autore del ritrovamento

Si tratta di due statue di bronzo che ritraggono presumibilmente eroi o semidei, in proporzioni poco superiori a quelle reali: 1,98 m per la statua a sinistra, denominata  “A” e 1,97m per la statua “B” posizionata a destra. Entrambe hanno un peso di 160kg anche se, prima di essere ripulite dalla terra di fusione, pesavano circa 400Kg. Si ritiene siano stati realizzati intorno al V secolo, in due zone diverse della Grecia e da due mani diverse, ragione che spiegherebbe il centimetro di differenza. Sugli autori non si sa molto, si pensa siano stati Fidia e Skopas, o comunque artisti appartenenti alla stessa cerchia. Senza dubbio le due statue rappresentano il momento più alto della produzione scultorea di ogni tempo, nonché la scoperta archeologica più rilevante dell’ultimo secolo. La perfezione delle forme, la nudità, simbolo caratteristico con cui si rappresentavano i semidei, sottolineano il periodo di massimo splendore della Grecia. A prima vista le due statue posso sembrare uguali ma ad un’attenta analisi si possono notare differenze che le rendono uniche.

La posizione è stante, cioè in piedi, e in armi perché il braccio destro é teso come a reggere una lancia, quello sinistro piegato, sostenendo uno scudo di protezione: entrambi oggetti non giunti mai a noi ma che ci convincono maggiormente che i due uomini fossero eroi Sulla loro identità sono state avanzate diverse ipotesi, ma tutte non hanno avuto un riscontro tale da essere considerate assolutamente attendibili, per cui lasciamo che i due colossi siamo ancora identificati come il “Giovane “ e “L’Uomo maturo”, nomi di battesimo a loro dati all’arrivo nel museo che oggi li ospita. La struttura è a chiasmo (χιασμός,  “dare forma di chi”), nella quale si compensa il peso della scultura ponendo le parti del corpo a ” incrocio”, quindi mettendo il braccio destro indietro e la gamba sinistra avanti e viceversa.

La tecnica è quella della fusione a “cera persa” indiretta, utilizzando un modello in argilla ricoperto da un sottile strato di cera, rivestito successivamente da un materiale refrattario al calore. Dai due fori praticati veniva colato il bronzo fuso e, una volta asciutto, veniva eliminato lo strato di materiale refrattario. Tale procedimento era frutto di un’acuta mente che praticò questa tecnica per poter realizzare statue internamente vuote. Infatti realizzare statue di bronzo a blocco pieno di tali dimensioni sarebbe stato impensabile e impossibile, sia per la quantità di bronzo necessario da utilizzare sia perché l’incredibile peso che avrebbero avuto non avrebbe permesso alcuno spostamento. Nonostante il bronzo rappresenti il materiale maggiormente utilizzato per la costruzione delle statue, troviamo anche il rame per labbra e capezzoli, l’avorio per gli occhi e l’argento per le ciglia. Ciò che le rende differenti sono particolari caratteristiche.

Ad esempio la statua denominata A, quella che rappresenta il Giovane forte e fiero, viene datata al 460 a.C., fase aurea dell’espressione artistica; la B, invece, che rappresenta l’Uomo maturo, è datata al 490 a.C., trent’anni dopo. Entrambe mostrano una notevole elasticità muscolare ma il “Bronzo A” appare più vigoroso mentre quello B sembra nella muscolatura più rilassato e disteso, anche se entrambi trasmettono una forte sensazione di potenza e virilità accentuata dalla maestosità delle dimensioni. La seconda statua, diversamente dall’altra, non rappresenta la perfezione assoluta, anzi mostra uno sguardo malinconico, i capelli non rifiniti e un occhio mancante, in quanto rovinato o perso, e una testa di forma irregolare che permetteva di agganciare l’elmo di stile corinzio, oggi disperso, senza il bisogno di un perno.

I ricci perfettamente definiti, le ciglia, i denti che emergono tra labbra leggermente aperte, gli occhi penetranti rendono invece il primo fortemente attraente. Qualcuno ha osato ipotizzare che i Bronzi avessero labbra rosso fuoco oltre che denti scintillanti, occhi vivaci e carnagione abbronzata. Seppur le statue sono state sempre viste e volute come monocromatiche, l’analisi chimica, invece, ha rilevato tracce di trattamenti allo zolfo che venivano usati per modificare il colore del materiale originario su cui si collocavano anche elementi decorativi. Le argille, estratte al momento del restauro, unite a peli di animale, non sono uguali, cambiavano in base alla zona di provenienza, avvalorando l’ipotesi che siano state realizzate in luoghi diversi. Inoltre si pensa che il bronzo B fosse diverso da come appare oggi a noi, poiché l’avambraccio è stato realizzato con un bronzo differente da quello utilizzato per il resto del corpo, questo a significare che probabilmente solo dopo la realizzazione si sia pensato di rendere simili le due opere e poterle esporre insieme.

Probabilmente vennero entrambe vendute ad un patrizio romano, ma la nave venne saccheggiata o naufragò. Questo, a quanto pare, ha rappresentato la salvezza per le nostre statue, protette dal mare, grazie al quale si è evitato che fossero vendute o fuse per ignoranza e incapacità di  riconoscerne il reale valore. Rimaste nei fondali intatte, sono quindi giunte a noi che possiamo ammirarle in tutta loro bellezza e maestosità. Oggi migliaia di visitatori posso ammirare questi due colossi, veri e propri capolavori di scultura dell’arte greca, riflettere sulla grandezza dell’antica Greci sui suoi artisti e sui suoi eroi e poter viaggiare sulle ali dei misteri e delle leggende che li circondano, come quella che fossero tre fratelli, l’ultimo dei quali il mare prima o poi restituirà per ricomporre la famiglia, oppure che non fossero né due né tre ma sette, come i Sette contro Tebe. A ciascuno la sua storia!

Rita Chiara Scarpaci

Classe II, Scuola Sec. di 1° grado “Foscolo” di Barcellona P.G.

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