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Narciso: l’eccessivo amore di sé

Ammirare solo se stessi, non amare che sé, può essere pericoloso: è quello che insegna questo mito raccontato nelle “Metamorfosi” da Ovidio, il grande poeta latino che visse a Roma nell’età di Augusto.

Narciso, figlio della ninfa Liriope e del dio fluviale Cefiso, era un cacciatore molto famoso per la sua bellezza.  Alla nascita, l’indovino Tiresia aveva vaticinato che il ragazzo avrebbe avuto una vita lunga, “se non avesse mai conosciuto se stesso.”

La profezia di Tiresia si avverò: Narciso restò per sempre adolescente, mantenendo intatta la sua bellezza che destava l’ammirazione e l’interesse di tutti coloro che incontrava. Ma lo splendido ragazzo non era interessato all’ amore e preferiva trascorrere il tempo passeggiando da solo nelle foreste sul suo cavallo oppure andando a caccia di animali selvatici.

Un giorno Eco, la più incantevole ninfa della montagna, al solo vederlo, s’innamorò perdutamente di lui.  La Ninfa, però, a causa di una maledizione, era stata privata della parola dalla dea Giunone e poteva soltanto ripetere le parole degli altri.

Era, quindi, incapace di esprimere il proprio amore a Narciso, il quale la respinse crudelmente. Eco morì di crepacuore e di lei rimase solo la voce.

Gli dei, adirati, decisero di punire Narciso per la durezza con cui aveva trattato la Ninfa facendolo innamorare della sua immagine. Fu così che un giorno il ragazzo, passeggiando, si avvicinò a una fonte chiara e limpida e non appena sedette sulla sponda di quella fontana s’innamorò all’istante del proprio riflesso. Dapprima tentò di abbracciare e baciare il bel fanciullo che gli stava davanti, ma ogni volta che cercava di toccarlo, l’immagine scompariva, fino a quando non morì, straziato dal dolore, trasformandosi in un narciso, il fiore dall’intenso profumo che cresce ai bordi delle fonti.

«Languì a lungo d’amore non toccando più cibo né bevanda. A poco a poco la passione lo consumò, e un giorno vicino alla fonte … reclinò sull’erba la testa sfinita, e la morte chiuse i suoi occhi che furono folli d’amore per sé. … Piansero le Driadi, ed Eco rispose alle grida dolenti. Già avevano preparato il rogo, le fiaccole, la bara, ma il suo corpo non c’era più: trovarono dove prima giaceva, un fiore dal cuore di croco recinto di candide foglie».

Ovidio (Metamorfosi III 420 e segg.)

Narciso non si è trasformato solo in un fiore, ma anche in una parola entrata nell’uso nella nostra lingua, “narcisista”, per definire tutte quelle persone in un certo senso innamorate di se stesse, poco attente agli altri e vanitose.

Oggi viviamo nella società dell’immagine che in qualche modo ci costringe ad apparire piuttosto che essere. A favorire ciò è stata senza dubbio la diffusione del mondo digitale: noi nativi digitali, infatti, siamo più “narcisi” rispetto ai nostri genitori o nonni. Simbolo del sentirsi al centro dell’attenzione è sicuramente il “selfie“, o l’autoscatto, ossessione della nostra epoca ed espressione dell’io narcisista. O forse della solitudine di ciascuno, incapace di comunicare veramente con gli altri e di essere social nel vero senso del termine.

Il mito di Narciso fa riflettere anche sulla mancanza di comunicazione che spesso porta le coppie all’incapacità di provare sentimenti veri e sani.

Eco esiste solo in funzione di ciò che prova per l’altro, e quando non viene corrisposta, la sua vita perde ogni significato e ogni scopo; Narciso, invece, sa amare solo sé stesso, tiene lontano da sé il resto del mondo e non sa entrare in relazione con l’altro.

Questo mito è molto attuale perché rappresenta in modo realistico la nostra società esibizionista e poco comunicativa: così come Narciso si specchiava nell’acqua, il “narciso” contemporaneo si specchia nello schermo del suo smartphone.

Narciso, se fosse vissuto nella nostra epoca dei social e dei selfie, probabilmente, sarebbe stato uno dei tanti a farsi foto e a pubblicarle su tutti i social.

Francesco Costantino e Christian Valenti I D

Scuola secondaria G. Garibaldi

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